I morti non raccontano storie
- Autore: Ernest William Hornung
- Genere: Avventura
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2017
Parenti serpenti e buone maniere britanniche che vanno a quel paese. Capita per le mani un intenso romanzo conradiano di Ernest William Hornung, “I morti non raccontano storie”, edito da Mattioli 1885 nel 2017 (285 pagine, 12 euro) e nello scoprire che questa storia di metà ‘800, apparsa alla fine di quel secolo, si affida ad un tale attraente canovaccio di misteri da non poter azzardare spoiler a casaccio, sembra il caso di soffermarsi semmai sull’autore inglese (1866-1921). Tanto, però, solo dopo aver messo al corrente i lettori che la rivelazione che farà luce sull’intero intreccio arriva in fondo, come buona norma nei gialli, ma stavolta proprio in fondo, che più non si potrebbe. Esattamente negli ultimi caratteri tipografici.
Ci sarebbe anche da spiegare perché questo lavoro abbia un contenuto “conradiano” e quali siano i parenti inaffidabili. Citare Joseph Conrad non deve sembrare superfluo, visto che le avventure e disavventure del protagonista si svolgono anche per mare e in terre esotiche ed extraeuropee, nel Pacifico, al tempo della corsa all’oro in Australia nel 1851. Parenti serpenti allude invece alla tempestosa relazione familiare dell’autore col fratello della moglie, il giallista scozzese Arthur Conan Doyle, padre del mitico Sherlock Holmes.
I due cognati scrittori non si amavano e la scarsa simpatia si manifestava apertamente in certi episodi. Conan Doyle, ad esempio, spifferò alle autorità militari britanniche che Hornung faceva propaganda pacifista tra le truppe ad Arras, nel 1918 (vi si era recato sulla tomba del figlio, caduto ad Ypres). La replica non si fece attendere, durissima: il cognato l’accusò di aver voluto “ficcanasare” nei fatti suoi senza motivo, per il solo piacere maligno di farlo.
Doyle attese la morte di Hornung per assestargli un colpo che non ammetteva repliche. In un “coccodrillo” che aveva un tono apparentemente lusinghiero per il congiunto acquisito, gettò lì che gli scritti di Ernest, “per quanto senz’altro buoni, non rappresentavano adeguatamente le capacità dell’uomo né la rapidità del suo cervello”. Una stoccata definitiva, perché i morti, in quanto tali, non possono rispondere.
Come si diceva tra i pirati, dead man tell no tales, i morti non raccontano storie, proprio perché defunti. Da qui il titolo del romanzo, citato finanche in un film della saga “I pirati dei Caraibi”.
Qualcosa si dovrà dire pur dire, però, sulla trama di questo romanzo movimentato, aperto da un incipit ben reso nella traduzione dall’inglese di Livio Crescenzi: “nulla è così facile come innamorarsi durante una lunga traversata, tranne il disamorarsi”.
Un giovane britannico, Mr. Cole, è stato attratto come tanti dal miraggio dell’oro scoperto nelle desolate terre d’Australia. Ma il suo impegno a Ballarat si rivela sterile. Senza avere estratto dalle rocce nemmeno il necessario per rifarsi delle spese, il giovanotto riprende la navigazione verso l’Inghilterra, sullo stesso veliero sul quale si era diretto verso il nuovo continente.
La caccia all’oro ha lasciato sul Lady Jermyn un equipaggio raccogliticcio, che governa un natante a quanto sembra privo di carico e con un nucleo di passeggeri, soprattutto in terza classe. Tra questi, Eva Denison, una diciannovenne che viaggia con l’anziano patrigno, una bella ragazza, che mostra subito grande franchezza e padronanza di sé. I difetti si evidenziano solo dopo una conoscenza più approfondita e risultano insopportabili agli occhi di Cole, comunque attratto da lei.
In realtà, un carico il Lady Jermyn lo trasporta: polvere da sparo. Il comandante è costretto a rivelarlo agli ormai naufraghi, raccolti a poppa nel cuore della notte mentre la nave è divorata da un incendio incontrollabile. E nel confessare di avere nascosto la verità, aggiunge che le possibilità di scamparla sono pochissime.
Il racconto delle fasi del naufragio è geniale, scritto con padronanza e molto verosimile.
Cole non è accolto sulla scialuppa di salvataggio, che però si rovescia, gettando in mare gli occupanti disperati, mentre il fuoco ha raggiunto anche il cassero. Il giovane dubita di farcela, ma l’alba lo ritrova in mezzo all’oceano, sopra una stia per polli ben costruita, da dividere con le povere anatre annegate.
Lo conforta il pensiero che Eva sia in salvo sulla piccola imbarcazione del comandante, ma i marinai del brigantino che lo traggono in salvo lo informano del ritrovamento del battello, con due cadaveri a bordo e un biglietto, con la lista dei decessi, segnata man mano prima di affidare i corpi al mare. Eva Denison è il secondo nome annotato.
A Londra, Cole si batte contro la depressione e il senso di panico che l’affliggono dopo quell’evento drammatico. Vorrebbe diventare invisibile, cerca di sottrarsi alla vista di tutti, preferisce la solitudine, ma si accorge con costernazione d’essere misteriosamente pedinato. Solo suggestione o qualcuno lo segue davvero? Quella giusta è decisamente la seconda ipotesi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I morti non raccontano storie
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