I racconti
- Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
I racconti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, lo scrittore del capolavoro Il Gattopardo, composti tra l’estate del 1955 e la primavera del 1957, escono postumi nel 1961 con prefazione di Giorgio Bassani e introduzione di Maria Corda Costa.
Quattro in tutto così intitolati: “Il mattino di un mezzadro”; “La gioia e la legge”; “Lighea”; “I luoghi della mia prima infanzia”.
Il suo capolavoro avrebbe dovuto trovare uno sviluppo nel secondo romanzo “I gattini ciechi”, ma lo scrittore non poté ultimarlo. Ne leggiamo solo il capitolo intitolato “Il mattino di un mezzadro”: il primo racconto in ordine di presentazione, ma l’ultimo scritto di Lampedusa, risalente al marzo-aprile 1957. Tra satira e sarcasmo vi troviamo, ai primi del ’900, Fabrizietto in compagnia di nobili oziosamente decaduti che, al circolo Bellini, si dilettano a fantasticare sull’ascesa sociale di Batassano Ibba, ex mezzadro ed erede ideale di Calogero Sedàra, cioè il nuovo ricco impossessatosi dei loro stessi feudi grazie all’accumulazione di beni da parte del padre Gaspare, mezzadro, diventato poi don Gaspare.
“La gioia e la legge”, scritto nell’autunno del 1956, non ha attinenza alcuna con il mondo del Gattopardo. Manifesta una dimensione verista legata al ciclo dei vinti e ha un significato prettamente morale. L’ambiente è piccolo borghese e il protagonista, Girolamo, che appartiene alla classe impiegatizia, tiene un modesto, ma dignitoso livello socio-economico: uomo certamente umile e dedito al suo lavoro svolto in modo diligente. Bella la descrizione del dono del panettone ricevuto per i suoi meriti, ma la gioia viene spezzata dalla decisione della moglie che, facendo prevalere la realtà sul piacere, dà luogo al pirandelliano sentimento del contrario. Bisognava che si disobbligassero nei riguardi di un avvocato, perciò va inviato a lui:
Domani, dice Maria al suo Girolamo, comprerai un altro panettone piccolissimo, per noi basterà; e quattro di quelle candele rosse a tirabusciò che sono esposte alla Standa; così sarà festa grande.
L’onore viene salvato, ma Girolamo rimane uno sconfitto anche in questo minuto episodio. Il panettone, invece di segnare il trionfo, si pone come emblema di sconfitta.
Nel terzo racconto, Lighea (gennaio 1957), il mare dolce e amaro si fa ventre materno quando l’inconsueto incontro con l’Ondina pagana dalle voluttuose sembianze ferali e divine si conclude in un’avventura amorosa che dà e toglie la vita. Il sorriso, l’odore e la voce della sirena finiscono con il conquistare il senatore "pre-fascista" e famoso grecista prof. Rosario La Ciura nel tratto dello Jonio che bagna la greca Megara Hiblaea. Egli, che è vissuto nell’assoluta castità, le parla in greco e se ne innamora. Il rapporto nutrito di amplessi sovrumani, legati alla più pura idea di bellezza, dura una ventina di giorni. Tre settimane, precisamente. Il richiamo della sirena, "figlia di Calliope", è suadente e ammaliante:
Tu sei bello e giovane; dovresti seguirmi adesso nel mare e scamperesti ai dolori, alla vecchiaia; verresti nella mia dimora, sotto gli altissimi monti di acque immense e oscure, dove tutto è silenziosa quiete tanto connaturata che chi la possiede non la avverte neppure. Io ti ho amato, e ricordalo, quando non ne potrai proprio più, non avrai che sporgerti sul mare e chiamarmi: io sarò sempre là, perché sono sempre ovunque, e la tua sete di sonno sarà saziata.
Lo rassicura: "Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto". Siamo nel 1938, data annotata dallo scrittore che coincide con la storia del fisico Ettore Majorana. Durante un viaggio in transatlantico, fra Genova e Napoli, al richiamo di lei, La Ciura si butta in mare per raggiungerla e il suo corpo non sarà ritrovato. Giace "dove tutto è silenziosa quiete", il sonno è l’oblio di Thànatos che si avvera nel sortilegio del mare di Sicilia, "il più colorito e il più romantico", dove è possibile percorrere la rotta della cupio dissolvi verso ’placide’ zone atemporali. Sicché la sirena è colei che indica un percorso di sapiente tranquillità: non apre alla trascendenza di metafisiche certezze, ma, esprimendo "una quasi divina letizia", è sorgente di vitalità. È la divinità mediterranea, "Madre saggissima" in cui ogni apparenza si riassorbe. Viene da pensare al mostro apocalittico di Stefano d’Arrigo: "Era l’Orca, quella che dà la morte, mentre lei passa per immortale: lei, la Morte marina, sarebbe a dire la Morte, in una parola" (S. D’Arrigo, Horcinus Orca, Mondadori Milano, 1975).
Del resto, il mare nella letteratura contemporanea ha uno stretto rapporto con la morte e basterebbe citare La morte a Venezia di Thomas Mann, dove l’anziano protagonista, famoso scrittore vissuto con fedeltà all’etica e all’estetica, conclude la sua vita, contemplando la vastità delle acque sulla spiaggia del lido di Venezia (T. Mann, La morte a Venezia, traduzione di A. Rho, Einaudi, Torino, 1954).
Ci sarebbe anche da ricordare Joyce che nell’Ulisse definisce la morte marina "la più mite di tutte le morti note all’uomo". Per il linguaggio junghiano, suggerisce A. Vitello (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, op. cit., pp. 417-429), se il mare simboleggia l’inconscio da cui affiorano gli archetipi, Lighea è l’archetipo della luminosa anima femminile.
“I luoghi della mia prima infanzia” è il quarto racconto, risalente al giugno del 1955, dove Lampedusa, che già aveva scritto il primo capitolo del Gattopardo, dà il meglio di sé in una splendida rievocazione memorialistica. Lo sguardo è fresco e vivace, muove dall’anima e fa risplendere gesti e paesaggi. Egli, lettore di Rousseau, di Proust, di Stendhal di cui in proposito cita Henri Brulard, ama ricordare per giungere all’essenza delle cose. Il suo rimembrare è indispensabile, ne tesse l’elogio come per un obbligo, ne coglie sia il valore psicologico che storico. Mostra una spiccata sensibilità in tutto questo, mentre le rievocazioni focalizzano gli aspetti salienti dell’infanzia che costituiscono la radice della sua formazione. Gli ingredienti utilizzati seducono malgrado i limiti di certo crepuscolarismo che vi si possono riscontrare. Il bisogno memoriale legato all’istanza narrativa affiora in questo bel brano:
Quando ci si trova sul declino della vita è imperativo cercar di raccogliere il più possibile delle sensazioni che hanno attraversato questo nostro organismo. A pochi riuscirà di fare così un capolavoro (...), ma a tutti dovrebbe esser possibile di preservare in tal modo qualcosa che senza questo lieve sforzo andrebbe perduto per sempre. Quello di tenere un diario o di scrivere a una certa età le proprie memorie dovrebbe essere un dovere "imposto dallo stato" (...) I ricordi d’infanzia consistono, presso tutti credo, in una serie di impressioni visive molte delle quali nettissime, prive però di qualsiasi nesso cronologico. Fare una cronaca della propria infanzia è, credo, impossibile: pur adoperando la massima buona fede si verrebbe a dare una impressione falsa spesso basata su spaventevoli anacronismi. Quindi seguirò il metodo di raggruppare per argomenti, provandomi a dare un’impressione globale dello spazio piuttosto che nella successione temporale.
La preziosità della memoria, che riporta alla coscienza il mondo dell’Ade offre così a Lampedusa un modo consolatorio che gli serve ad alleviare il dolore per la perdita di un ricco patrimonio familiare, ridando vita alle ombre di un passato ormai inesistente. Con l’energia della memoria, ecco allora che la trama narrativa dell’immaginario, svincolandosi dall’evanescenza, acquista solidità e stabilità.
I racconti
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