Il bottone di Stalingrado
- Autore: Romano Bilenchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
“Il bottone di Stalingrado” è un bottone con falce e martello che, staccatosi dalla manica di un cappotto militare di un soldato russo ucciso a Stalingrado durante il secondo conflitto mondiale, di mano in mano viaggerà fino ad arrivare in Toscana, divenendo il portafortuna di uno dei protagonisti del romanzo. Romano Bilenchi è stato un autore di spicco del nostro Novecento letterario, in particolar modo per la sua personale vicenda politica: prima adepto del partito fascista, poi, a lungo comunista. Un uomo integro, dotato di un’intelligenza poetica come pochi, apprezzato e stimato dagli amici Luzi, Pratolini, Vittorini, con i quali amava incontrarsi nei caffè fiorentini, è ad oggi un autore ingiustamente dimenticato, nonostante alcune delle sue opere siano dei capolavori assoluti. Giornalista, studioso, eretico, di illuminata cultura, sempre dalla parte della verità, dai più definito un narratore puro, era per tutti il gran toscano dalle due anime, una nera e una rossa, che disse no a Mussolini e a Togliatti. Osservatore politico e a lungo autorevole giornalista viveva il mestiere artigianalmente con partecipazione, impegno e passione, la stessa che aveva come grande lettore di romanzi russi.
“I libri, come la pittura o la musica, hanno quest’unico scopo: aiutare gli uomini a vivere e a capire la vita. Non a consolare, per carità, ma a trasmettere la verità morale che sta al fondo di ogni sofferenza”.
È la frase più volte riportata nelle interviste rilasciate nell’ultimo periodo di vita, quando per una grave malattia era ormai inchiodato alla sedia del suo studio, circondato dai suoi libri. “Il bottone di Stalingrado”, pubblicato nel 1972 dopo una pausa di silenzio durata molti anni narra, attraverso le vicende di Marco e degli altri protagonisti, gli anni drammatici dell’ascesa del fascismo, la tragedia della guerra, il dopoguerra e le prime lotte operaie.
“Marco era figlio di Antonio, un medico che abitava in un villino alla periferia della città, a pochi metri dalle casupole degli operai, sovrastate dalle enormi moli delle vetrerie, delle ferrerie e delle segherie, costruite con i mattoni rossi, e dalle alte ciminiere che alle dodici del mattino e alle sei del pomeriggio lanciavano i loro urli lugubri e improvvisi fino in aperta campagna”.
Nella provincia toscana, operosa e animata da passioni ideologiche, il giovane Marco, liceale e figlio di un medico socialista, aderirà all’avanguardia giovanile fascista, dopo aver ascoltato le idee politiche esposte da Silvia, insegnante di italiano e latino e fervente interventista. È sulla piazza antica del paese, animata da una folla di camice nere, dai rappresentanti del partito liberale ai padroni delle fabbriche, uniti insieme nella causa fascista, che si apre il primo dei tre racconti su una pagina di storia tra le più dolorose del nostro Novecento, ispirato tra l’altro alle vicende vissute da Romano Bilenchi.
Marco vivrà da soldato la guerra sulla sua pelle, l’8 settembre e lo smarrimento dovuto all’armistizio e la lotta di liberazione, sempre più aspra tra sabotaggi, rappresaglie e deportazioni. Saprà dare buona prova di sé e di coraggio per essere accettato nel partito comunista, divenendo capo dell’ufficio informazioni del partito durante la Resistenza. Alla fine del conflitto riprenderà gli studi laureandosi e, mentre il Paese intero è alle prese con la rinascita sociale ed economica, insieme a Rita, la giovane donna infamata e calunniata con i capelli rasati a zero, parteciperà agli scioperi e alle lotte operaie contro i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche.
“Lo sciopero continuava cupo e snervante e esasperava gli operai. Dappertutto si tenevano riunioni e gli operai si ricordavano l’un l’altro come avessero salvato le macchine dai tedeschi e insieme con i tecnici avessero ricostruito i reparti distrutti dai bombardamenti (…) i padroni tornati al loro posto quando tutto era stato rimesso in grado di funzionare di nuovo, preoccupati soltanto dei loro guadagni e del loro gioco politico, cacciavano gli operai dalle fabbriche”.
Un bellissimo romanzo sulla tragica storia sociale e politica dell’Italia, una vicenda personale che diviene una storia collettiva. Pagine dense di sogni saranno gli occhi di un adolescente sui miti del fascismo, e poi di dolorose delusioni, quelle di un uomo disilluso, obbligato a riflettere sull’esistenza alla ricerca del suo essere, tra le ragioni della coscienza e la religiosità, tra le speranze e i fallimenti. Un’opera dal “solfeggio esatto”, scrisse Enzo Siciliano, sospesa tra lo stato di inquietudine e di rivolta, come è la prosa di Romano Bilenchi.
Il bottone di Stalingrado
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