Il buio e altri colori
- Autore: Alessandro Forlani
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Cosa succede quando si diventa ciechi in età adulta? Un bug, si direbbe oggi mutuando un termine dall’informatica, nel codice genetico, qualcosa che si è nascosto per decenni, ma che era nella carne, nelle viscere, pronto ad attivarsi. Il protagonista di Il buio e altri colori (Manni editore, 2024), Michele Achilli, giornalista della Rai di Saxa Rubra, è costretto a riprogrammare per intero la propria vita. La prima sensazione che investe chi diventa cieco è, stranamente, non tanto la preoccupazione per il cambiamento, quanto la paura del giudizio altrui. Cosa penseranno le persone della visiera abbassata sugli occhi, delle lenti scure indossate anche quando è sera, del bastone retrattile che nella sua estensione meccanica sembra avere vita propria?
Emerge in seconda battuta la necessità di avere una mappa, di assestare e rimanere in confini noti. I luoghi svaniscono un po’ alla volta dai ricordi, se non sono rinfrescati continuamente dallo sguardo.
Ciò che prima si vedeva, ora si ascolta o si annusa. Gli odori, soprattutto, funzionano per accumulo, aggiungono strati alla conoscenza, persistono nella memoria meglio di ogni altra cosa, non è una novità, lo diceva già Marcel Proust. Allora la mappa con cui orientarsi nuovamente assume altre dimensioni, quella delle voci che animano una città cosmopolita come Roma, e quella dei profumi che ammaliano o delle puzze che ammorbano: l’odore di sigaro e il profumo al ciclamino, ricorrenti; il tanfo del sudore in metro, gli scarichi delle auto che creano ingorghi; la pelle delle donne, il cibo dei ristoranti; il piscio degli homeless negli angoli di strada.
«Roma è una città confusionaria, gaglioffa, però anche umana, dove persino il più straniero degli stranieri può sentirsi a casa».
Michele è nato al nord, a Roma si è adattato, non senza fatica. La malattia ora sposta di nuovo i confini, Michele è ancora una volta straniero nella città di adozione, escluso da solide barriere architettoniche, ma anche da quelle che le persone, talvolta, alzano di fronte la disabilità. A chi gli parla ad alta voce scandendo le parole; a chi lo blandisce da lontano, come se oltre a non vedere non potesse neanche sentire; a chi lo strattona con la pretesa di aiutarlo, Michele reagisce prima con passività, poi aggredendo a sua volta.
Alla fine ci perdono tutti.
«Forse essere disabili è un po’ come essere in una prigione. La differenza è che io posso evadere quando voglio: basta aprire la porta, mettersi in gioco. Anche la disabilità però, la puoi affrontare da paraculo o da persona seria. Chissà come sarebbe se tutta la gente normale dovesse restare chiusa in casa e in strada andassero solo i pazzi, i ciechi o i criminali».
A volte però, scivolando attraverso le 352 pagine del libro suddivise in brevi capitoli, si ha la sensazione che Roma sia proprio il terreno di caccia di predilezione dei pazzi, che ne hanno conquistato larghe fette. Nonostante tutto, però, Roma resta umana. Giusto per fare un esempio, le difficoltà nella gestione della “cosa pubblica” – Michele ha a che fare di continuo con treni soppressi, bus in ritardo, tassisti arroganti – riguardano in fondo tutti, chi è residente e chi è solo di passaggio, chi è disabile e chi non lo è. Attraverso gli incontri che fa quotidianamente, Michele si rende conto che a Roma l’alto e il basso si fondono, l’impasto creato nella fusione è il ritratto della disperazione umana, della durezza del sopravvivere.
A Roma, anche chi possiede, non è tanto più ricco di chi non ha niente.
Alessandro Forlani, nel suo primo libro, ha scritto un ritratto della disabilità onesto, persino selvaggio, a tratti. Per farlo, ha dovuto radunare le mille voci di una città complessa, stratificata, che da mille anni ci si sforza di capire, codificare, e che alla fine sfugge sempre ai tentativi di catalogazione.
E dalla quale siamo, giocoforza, terribilmente affascinati.
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