Dopo aver sorprendentemente esplorato la mente di un bambino autistico ne Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, il romanzo che ha commosso migliaia di giovani in molti paesi del mondo, Mark Haddon ne Il cavallo parlante e la ragazza triste e il villaggio sotto il mare (Einaudi, 2005) dà vita a uno strambo catalogo di figure laterali e inconsuete che vengono esplorate, stavolta, attraverso il linguaggio della poesia, a cui solo molto raramente viene alternata la prosa.
Una raccolta di liriche breve e agile, mai scontata, che si configura come una polifonia di voci diverse, quelle dei personaggi creati dai narratori, che lavorano
“da soli nell’oscurità, guidati da minuscole candele che non condividiamo, sudando per dare alla luce pianeti di sostituzione dove accadono le cose che non accadono”
Si tratta di personaggi buffi, malinconici, che “discendono come stelle in una terra di lunghe serate e verdure radicalmente diverse” e vanno a depositarsi nella mente dei lettori. Nello speciale campionario creato da Haddon troviamo oggetti come una Rough Guide o come le porte della cabina in modalità automatica, le porte di un aereo che quando spicca il volo diviene metafora del modo in cui
“lasciamo il mondo,
con il cuore piangente,
e la fiducia che la distanza
porti il prodigio risolutivo
di un’ultima chiara visione
prima del lungo sonno
sopra i cambiamenti del tempo.”
Una natura dimessa e sofferente, sotto costante scacco della mano usurpatrice dell’uomo e della tecnica, offre alle liriche molti dei loro soggetti: si va dagli alberi che “sono più alti dei grandi magazzini, eppure non attirano attenzione su se stessi”, allo squalo bianco che “mangia i suoi piccoli più deboli nel grembo. Immune al cancro. Costantemente sveglio”, fino al pinguino, al gatto e al vecchio cane che riflette amaramente sul destino di gregario che gli è stato assegnato dall’uomo:
“Sono malato, stanco, rovinato,
la brutta ragazza, i mozziconi abbandonati
di ogni sigaretta,
ogni crosta dura, ogni serata sprecata.
Siedi. Acchiappa. Stai vicino.”
Fanno da contraltare agli elementi naturali i prodotti di un mondo sporco e industrializzato che, in una chiave del tutto postmoderna, si affacciano prepotentemente sulla scena. Anche in questo caso il catalogo è vario: si va dal teflon al tetrapak, ai rivestimenti isolanti che “giacciono abbandonati nell’erba alta tra il faro e il canale” fino alla macchina del fiume, fatta schiantare per puro divertimento dai ragazzi annoiati di una contea inglese.
E poi, ancora, luoghi come il villaggio modello e giorni speciali del calendario, come il primo dell’anno, passando per fantasie lugubri dove si muovono Troll, uomini-forbice e draghi, senza dimenticare tipi umani inconsueti come le suore, i nani e i poeti stessi
“Occhiali,
un padre nell’esercito
e la distanza dalla fattoria successiva
li ha resi solitari”.
Insomma, una galleria dove l’amarezza, esaltata dal linguaggio poetico, è un sottofondo continuo, solo raramente intervallato da un english humour tagliente e dove regna sovrana un’insolita capacità di immedesimazione - elemento questo che Haddon, forte della sua esperienza di scrittore di libri per bambini, utilizza sapientemente anche nel romanzo successivo, Una cosa da nulla – che dà voce a protagonisti inusitati e talvolta molto distanti tra loro.
Una prova che conferma la grande immaginazione di Haddon e la sua spiccata capacità di scivolare in psicologie differenti e, all’occorrenza, anche di alternare il reale al fantastico.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il cavallo parlante e la ragazza triste e il villaggio sotto il mare
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