Il cinema di Michael Cimino
- Autore: Giampiero Frasca
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2020
Il cacciatore (1978) è un cult-movie senza difetti, uno dei più compiuti della storia del cinema. Nemmeno tanto sottotraccia, insiste sulle incidenze che la guerra (del Vietnam, nella fattispecie) proietta sulle vite delle persone. Il film ha fatto incetta di Oscar; ha fatto invece l’opposto I cancelli del cielo (1980), bersagliato dalla critica forse aldilà dei suoi effettivi demeriti. Un po’ troppo di maniera — senza contare l’autolesionistico lievitare dei costi di ripresa —, ma il film non è poi così brutto. L’apice e la caduta di Michael Cimino appaiono comunque riassumibili in due anni e spiccioli: attraverso storia e contro-storia di questi due film. Il resto della sua controversa filmografia (L’anno del dragone, Il siciliano, Ore disperate, Verso il sole) altro non è che corollario di peso contraddittorio e relativo; succedaneo di un talento puro dissipato troppo presto. Il critico cinematografico Giampiero Frasca se ne occupa (del talento di mr. Cimino) in una corposa monografia di recente pubblicazione per la collana CineAlbum di Gremese, Il cinema di Michael Cimino (2020). Una lettura solida che inquadra ad ampio raggio, semantica espressiva e sottintesi tematici dell’esponente forse meno inquadrabile della cosiddetta New Hollywood di una volta (Coppola, Scorsese, Spielberg, Altman, De Palma, ecc.). Il tentativo è di rintracciare gli indizi della sua parabola controversa: folgorante dapprincipio, sfortunata poi. Il primo fra questi indizi, più che nel caso, potrebbe rilevarsi nella smania di assoluto del regista al lavoro: il tentativo da neo-Icaro di sfidare i soli della perfezione e del capitale.
L’anamnesi introduttiva stilata da Giampiero Frasca trova amplissimo sostegno nel resto del libro (160 pagine con foto a colori), mediante la scomposizione puntigliosa della filmografia del regista.
“Inutile dirlo, Cimino non è stato uno dei nomi fondamentali del cinema americano degli ultimi quarant’anni, perché la sua carriera, da un certo punto in avanti, ha imboccato un vicolo cieco fatto di concessioni da parte dei pochi produttori che avevano ancora il coraggio (o l’incoscienza) di credere in lui […]. Perché ciò che accadde all’uscita de I cancelli del cielo si può leggere in due modi. Attraverso una visione romantica […] seconda la quale l’artista incompreso subisce tempi e modi dell’industria: egli si sforza di realizzare il suo capolavoro ma i produttori lo guardano con sospetto se non addirittura con preoccupazione o astio […]. Egli finisce così per soccombere nell’impari lotta contro il capitale […]. Oppure si può riconoscere che nel caso de I cancelli del cielo si scontrarono effettivamente due visioni differenti della realizzazione, ma che anche Cimino ebbe le sue colpe, soprattutto un’incapacità totale di aderire alle regole della programmazione, convinto che il risultato artistico avrebbe comunque avuto ragione dei tempi stabiliti per realizzare il film”. (pp. 5-6)
Il cinema di Michael Cimino non è (come si evince) un saggio di intento apologetico, e, se per questo, nemmeno riabilitativo: si tratta piuttosto di un testo di collocazione oggettiva, che riesamina lo specifico prescindendo dai pregiudizi, come dalle dicerie scandalistiche che dal flop de I cancelli del cielo in poi hanno fatto da corollario a tutti i film di Cimino. In un passaggio dell’intervista inedita che in appendice chiude il volume, è racchiuso probabilmente il senso del suo fare cinema:
“Nel cinema, ma in generale in tutta l’arte, ogni artista deve mettere tutto quello che possiede a livello intimo, solo così è impossibile pentirsi del lavoro ultimato. E solo in questo modo lo spettatore può identificarsi e sancire il successo di un’opera”. (p. 143)
Peccato che non sempre succede, e a lui non è successo. Di buone intenzioni, come si sa, è lastricata la via dell’inferno.
Il cinema di Michael Cimino
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