

I cancelli del cielo
- Autore: Giampiero Frasca
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2017
“I cancelli del cielo (…) fallisce così completamente da far sospettare che il signor Cimino abbia venduto la sua anima al diavolo per ottenere il successo de ‘Il cacciatore’ e che il diavolo sia tornato per che chiedere il conto” (The New York Times)
“Il nuovo film di Michael Cimino è così confuso, così lungo per le sue tre ore e mezza e così pesante che non funziona praticamente a nessun livello, nonostante tutto l’apprezzamento per la fotografia davvero splendida” (Variety)
“I cancelli del cielo è un vero disastro. È un film che si desidera deturpare, a cui vorresti disegnare i baffi, perché non c’è in esso alcuna osservazione, nessun accenno di qualcosa di simile alla conoscenza o addirittura a una diretta intuizione di ciò che le persone realmente siamo. È il film di un vanitoso che è stato colto in fallo” (The New Yorker)
Questa la stampa americana all’uscita del film. Un coro unanime: stroncature violente, toni livorosi per un capolavoro mancato e il suo regista-narciso. Ci sono film ammantati di un’aura così. Bella e dannata, da disastro annunciato, da inizio della fine: I cancelli del cielo - simil-western di potenza immaginifica e enfasi di ogni tipo – è il primo fra questi. Dopo gli oscar per Il cacciatore, doveva raccontare della consacrazione di Michael Cimino, e invece ne strombazza ai quattro venti le ossessioni, segnandone la rovina, sua e dei produttori. Vi risparmio le cifre del flop, tra cronaca e leggenda: vi basti sapere che sono imponenti, tutte figlie dello spirito dissipativo e della maniacalità espressiva del regista. Intanto che Cimino la asseconda alla ricerca dell’inquadratura, della luce, della messa in scena perfette, i tempi di ripresa si dilatano, con costi e provvigioni diventati ipertrofici.
Siamo all’alba degli Ottanta e l’America finto-soap, sulla scorta del credo reaganiano, non perdona. Soprattutto una pellicola di tre ore e mezza che fa le pulci alla storia americana senza alcuna edulcorazione: le accuse di marxismo diventano comunque l’ultimo dei problemi di Michael Cimino, assediato da una folla che lo aspetta al varco e poi sputa sentenze. I cancelli del cielo non è brutto fino a tal punto: piuttosto un copioso/pretenzioso esercizio di stile che finisce col mettere a dura prova la capacità di tenuta di chi lo accosta: spettatori e critica, in primis. La storia del cinema annovera, di tanto in tanto, film predestinati: cult-movie mancati per un soffio, spauracchio delle produzioni. Anche se per motivi diversi da quelli annunciati, I cancelli del cielo è a suo modo passato alla storia, è comunque un film da ri-vedere (nella sua versione completa, astenersi da quella sforbiciata in funzione dell’appeal). Merita letture e traduzioni approfondite. Come quelle puntualissime, a un passo dalla tassonomia, in cui si cimenta Giampiero Frasca con “I cancelli del cielo” (2017) per la neonata collana I migliori film della nostra vita di Gremese.
Per sintetizzare, attraverso le parole dell’autore – scrive sul prestigioso Cineforum - il libro è giocoforza
“la storia di un’ossessione che ha sfiorato le vette estetiche del sublime, prima di frantumarsi disastrosamente a causa della frustante aspirazione di raggiungere l’assoluto”.
Con il valore aggiunto, si intende, di un’analisi minuziosa della pellicola-fiume, sinossi, schede tecniche, e apparato iconografico a corredo. Ultima cosa: formato agile e contenuti accurati si pongono come segno distintivo di questa collana che per i prossimi mesi annuncia titoli succosi al pari di questo “I cancelli del cielo”. Da tenere d’occhio e da non perdere.

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