Il coraggio di Rachel DuPree
- Autore: Ann Weisgarber
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2008
Il coraggio di Rachel DuPree (Neri Pozza 2022, titolo originale The Personal History of Rachel DuPree, traduzione di Maddalena Togliani) è il nuovo romanzo della scrittrice americana Ann Weisgarber, selezionato e finalista all’Orange Prize for New Writers.
“Eravamo i soli negri dei paraggi”.
Avete mai sentito parlare di coloni neri nel West, nei primi anni del Novecento, precisamente nel 1917, nel South Dakota nelle Badlands? No? Leggere questo libro è l’occasione buona per togliere un po’ di polvere a una storia americana poco conosciuta. Coloni neri poveri in canna, che vivevano in una prateria arida e secca, dove la siccità la faceva da padrona e il vento sollevava polvere ed erbacce. In questa terra ostile, dove anche le labbra si seccavano a causa del caldo e della mancanza di acqua, l’autrice ambienta una storia coinvolgente fino all’ultima pagina, protagonista il coraggio di una madre e moglie chiamata Rachel DuPree.
In una nota finale del romanzo la scrittrice americana racconta come ha trovato l’ispirazione per la storia. Durante una visita al Badlands National Park nel South Dakota, Ann Weisgarber aveva visitato una casetta di terra ricavata nel fianco di una piccola collina. Il tetto cedeva e degli steli di erba delle praterie lunghi trenta centimetri crescevano tra le placche di lamiera sul soffitto. All’interno regnava un odore di umido e muffa. Il pavimento era di terra battuta, e alcuni fogli di giornale ingialliti erano incollati ai muri per coprire i mattoni di terra. Una stufa panciuta occupava gran parte del salotto, e siccome il legno scarseggiava erano ammonticchiati in un secchio lì vicino degli escrementi secchi di mucca da bruciare come combustibile. In cucina, la stanza più grande, c’era un fornello nero lucido. La terra attorno al fornello era stata calpestata più che altrove sino a formare una specie di sentiero. Sicuramente una donna lì vi aveva passato gran parte delle sue giornate per preparare da mangiare. Forse quel fornello poteva essere stato un peso per la donna, ma il fornello era suo e solo suo e ciò doveva averla resa orgogliosa.
Lo spunto successivo per il futuro romanzo si era presentato qualche giorno dopo, quando l’autrice si era fermata in un museo lungo una strada del South Dakota, lì aveva notato la fotografia di una donna afroamericana seduta da sola davanti a una casetta di terra. Era nato il personaggio di Rachel DuPree, eroina nera, cresciuta in Louisiana in una baracca, dove il padre era nato schiavo, trasferitasi in seguito con la famiglia a Chicago, moglie paziente di Isaac, madre amorevole e solerte di sette figli (due morti e uno in arrivo, anche lui bisognoso d’acqua) tra i quali Mary di tredici anni, John, di dieci anni, e la piccola Liz di sei, che viveva in una casa di legno.
Circondata dalla polvere e attanagliata dalla mancanza di acqua, non pioveva da due mesi, la pazienza di Rachel si stava sbriciolando, come una manciata di polvere che scivolava dalle dita. Il sogno di essere un proprietario terriero di Isaac stava costando caro a tutta la famiglia.
“Il vortice di sabbia si contorse come un lenzuolo sul filo del bucato, si raccolse e si mosse verso la casa”.
Un romanzo attualissimo, dedicato “A mio marito, Robert L. Weisgarber”, che tratta anche un tema stringente, un problema ormai planetario, quello della siccità. Infatti, secondo le stime, entro il 2050 la siccità potrebbe colpire tre quarti della popolazione mondiale.
“Le cose si sarebbero sistemate lì da noi. Per forza. Prima o poi sarebbe dovuta finire quella siccità. Smettila di compatirti, concentrati sul tuo lavoro”.
Il coraggio di Rachel DuPree
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