Il gomito del diavolo
- Autore: Paolo Riccò Meo Ponte
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2023
Come si può vincere tutte le battaglie ma perdere la guerra? Eppure è avvenuto, sotto i nostri occhi, due anni fa, a fine estate 2021. Tuttavia, la ventennale campagna delle forze occidentali in Afghanistan non è stata inutile e chi è caduto non lo ha fatto invano, afferma il generale Paolo Riccò, autore con Meo Ponte di un volume prezioso, che fa riflettere e convince, Il gomito del diavolo, pubblicato a luglio da Longanesi (2023, collana il Cammeo, 281 pagine).
Nel lungo servizio in uniforme, Paolo Riccò (Torino, 1963), ufficiale di carriera, pilota di elicotteri d’attacco e comandante dell’Aviazione dell’Esercito, ha guidato importanti missioni militari di pace in Bosnia, Kosovo, Albania, Somalia, Afghanistan. Dal 2022 rappresenta L’Italia nel Comando Supremo alleato in Europa (SHAPE). Vanta numerose decorazioni e riconoscimenti istituzionali.
È autore del saggio I diavoli neri (Longanesi 2020), firmato insieme al giornalista e scrittore Meo Ponte. Questi, ligure e torinese d’adozione, ha cominciato da reporter di nera nella Gazzetta del Popolo a Torino, ha collaborato con La Nazione, nell’87 è entrato nella redazione del TG3 a Perugia e nell’89 è passato a la Repubblica, fino al pensionamento (agosto del 2015). Da inviato di cronaca giudiziaria e di guerra, ha seguito i maggiori casi di nera ed è stato in Iraq (2003-2005) e in Libia (2011). Dal 2017 collabora con il Corriere della Sera. Per Longanesi ha pubblicato anche Eroi di una guerra segreta (2018).
Entrambi dedicano il nuovo lavoro “a tutti quelli che hanno combattuto in Afghanistan. Ai soldati italiani innanzitutto e in particolare ai cinquantatré che non sono più tornati a casa”.
È il racconto di una guerra durata vent’anni e finita, “purtroppo”, con il ritorno a Kabul dei talebani e il ripristino del loro regime fondamentalista. La “triste conclusione” della missione non deve cancellare l’impegno di quanti si sono battuti per offrire una vita normale a un Paese afflitto da guerre e miseria.
Riccò e Ponte lasciano da parte gli aspetti politici, strategici, tanto più storico-sociologici: sono “pagine scritte essenzialmente per impedire che gli sforzi per riportare l’Afghanistan tra le nazioni civili finiscano nell’oblio” e per non dimenticare l’eroismo dei tanti soldati italiani avvicendati sul suolo afghano.
Oltre 50mila, dal 2001 al 2021, di tutte le Forze armate, con 53 caduti e 700 feriti.
Tensioni e adrenalina, qualità e difetti delle missioni: tre quelle raccontate, dal 2006 al 2014, in aree diverse. Il generale è arrivato per la prima volta in Afghanistan proprio nel 2006, da Rheindahlen Nord Westfalia, dov’era in servizio nella Nato.
È stato ufficiale di collegamento del Comando della Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza (ISAF) con il presidente Karzai, il suo Governo e le ambasciate straniere a Kabul, un compito non facile, in una terra storicamente tormentata da invasioni, teatro del Grande Gioco degli imperi ottocenteschi e sempre ostile al nemico di turno: tutti gli eserciti entrati nelle aspre vallate afghane hanno ripiegato sconfitti oltre il Khyber Pass.
C’è una parte della testimonianza del generale Riccò ch’è il paradigma delle esperienze più recenti in Afghanistan, contro i talebani.
Rientrando a Herat a fine 2013, da una licenza in Italia, era ansioso di apprendere novità sulla situazione locale. I nostri media riservavano poca attenzione all’Afghanistan, indifferenti verso i tanti connazionali in divisa, uomini e donne, che vi compivano il loro dovere, mettendo in gioco ogni giorno la vita. Che differenza con l’accoglienza rumorosamente calorosa e cameratesca del vicecomandante americano e dei militari del suo staff. Confermava quanto fosse cambiato il rapporto con loro: il duro lavoro dei mesi passati aveva dato i suoi frutti. Le diffidenze dei primi giorni erano state spazzate dall’impegno con cui avevano collaborato.
Ma in Afghanistan non c’è tempo da sprecare in convenevoli. Erano ripresi i lanci di razzi contro la base di Shindand, fortunatamente senza vittime tra le forze della coalizione. Ad agire, sempre gli insorgenti della Zeerko Valley. Nonostante il successo dell’ultima grande operazione, le truppe afgane addestrate dagli occidentali non si dimostravano in grado di garantire la sicurezza dell’area.
La mattina del 17 dicembre, intorno alle 8.30, due uomini armati si avvicinano alla base di Shindand e lanciano due razzi da 107 mm. Quando gli elicotteri si levano, sono già riusciti a riparare in uno dei villaggi nella valle. Occorre agire da soli e con determinazione. Riccò è alla testa, sul campo... Il gomito del diavolo, Devil’s Elbow, è un punto tristemente adatto agli agguati lungo la Highway One Ring Road, autostrada dell’inferno, tra Kabul e Canaan nel sud del Paese.
Il generale testimonia e non commenta, ma si può concludere con le parole dell’ambasciatore Stefano Pontecorvo:
L’Afghanistan è stato descritto da alcuni come fallimento strategico e da altri come fallimento sistemico. Probabilmente è stato entrambi.
Il gomito del diavolo. La storia di una delle più importanti e difficili battaglie combattute in Afghanistan
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