Il mulo. L’ibrido Alpino
- Autore: Fabio Palladini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
“Ti servirò fino al sacrificio in pace ed in guerra, dammi perciò quanto mi necessita per servirti”: è il primo atto di devozione di un mulo al suo conducente alpino, coppie fisse per tradizione e protocollo, dalla fondazione del Corpo nel 1872 allo scioglimento dell’ultima batteria someggiata, nel 1993. Apre il più che decalogo (ben ventisei note) citato in un libro insolito, originale, specialistico, di storia e di tecnica militare. Il titolo del volume è Il mulo. L’ibrido Alpino, in nuova edizione nel febbraio 2024 (con numerose foto in bianconero, qualcuna a colori, 190 pagine), autore il generale Fabio Palladini, per i tipi dell’Associazione culturale e casa editrice indipendente Italia Storica di Genova, sotto la guida dell’attivissimo ricercatore di storia militare Andrea Lombardi.
Un ibrido è la combinazione di elementi diversi. Ibride sono negli ultimi tempi le autovetture a trazione elettrica alternabile a motori termici. Ibrido è l’individuo generato dall’incrocio tra soggetti di specie differenti, animali o vegetali. Un ibrido animale è il mulo, nato dall’unione tra un asino e una giumenta (da un cavallo e un’asina nasce un bardotto). Ibridi alpini sono i muli che hanno prestato la ferma prima nel Regio Esercito, poi nella forza armata repubblicana, iscritti a ruolo come i najoni in carne ed ossa. Ibrido alpino, detto con rispetto e spirito di corpo dal generale di divisione della riserva Fabio Palladini, che ha comandato a Belluno una batteria alpina dal 1982 al 1991.
La caserma bellunese “D’Angelo” è la struttura militare in cui si è consumato l’ultimo atto della carriera militare dei compagni d’arme a quattro zampe di tanti ex giovani in divisa e berretto con la penna. Nel suo lavoro, il generale Palladini ricorda i fedeli muli di tutto cuore, inducendo alla commozione senza riserve. Celebra il contributo disinteressato di quegli animali e il forte legame stabilito per oltre 120 anni tra i commilitoni con gli scarponi e quelli con gli zoccoli. Il rimpianto vive tuttora, nella memoria di tanti, oltre che nella storia del Corpo degli Alpini e del nostro Esercito.
Il mulo somiglia molto all’asino, condividendone caratteristiche fisiologiche e alimentari. Si nutre di foraggi grossolani, è sobrio e molto resistente ai lunghi percorsi sui tratti impervi di montagna o senza strade carrabili. Nella prefazione, Sebastiano Favero, presidente dell’ANA (l’Associazione Nazionale delle penne nere), riassume il contenuto del libro per i lettori che vorranno accostarvisi e ne condivide innanzitutto lo spirito: rievocare momenti di vita, di naja alpina, e offrire motivi di riflessione sull’utilità militare del mulo, a lungo supporto indispensabile per i trasporti in montagna.
Oltre a ricostruire il ruolo del mulo nel Regio Esercito dal 1872, il libro riporta le conoscenze e le tecniche d’impiego nelle Batterie di Artiglieria da montagna e nelle Compagnie Mortai dei Battaglioni Alpini, senza trascurare i problemi posti dal movimento di unità someggiate in condizioni ambientali difficili. Interessanti gli spunti tecnici, dallo scavalcamento di colle someggiato con lo scavo di trincee nella neve al rodeo di un mulo durante l’abbeverata, dalla “Pratica e cura dei muli” eseguita dai conducenti per accudire agli animali al ruolo determinante del sottufficiale maniscalco. La cura per il mulo era parte prevalente nella vita di caserma di un reparto del IV Corpo d’Armata Alpino, che li aveva in forza. L’addestramento puntava a costituire un’unità efficiente e coesa, capace di operare anche in terreni proibitivi e con condizioni meteo avverse. La scuderia era scuola di vita e chi si è approcciato ai muli ha sicuramente imparato anche a conoscere meglio gli uomini.
Assegnare sempre lo stesso mulo allo stesso conducente contribuiva a rendere più docile un animale che, se ben trattato, governato e nutrito, esprimeva un rendimento ottimale.
Il lavoro più gravoso al quale poteva essere sottoposto un quadrupede era il trasporto a soma dell’obice da 105/14 e del mortaio da 120 mm. Questo prima dei piccoli automezzi di nuova generazione. Nei nuovi modelli di difesa il mulo non ha trovato più posto: il 7 settembre 1993, nella “D’Angelo” di Belluno, sede del Gruppo Lanzo (custode delle tradizioni del 6° Reggimento di Artiglieria da Montagna) ebbe luogo l’asta degli ultimi muli in forza alle Truppe Alpine. Era venuto meno il compito delle salmerie e del someggio: trasportare armi, munizioni, viveri, attrezzature sanitarie in montagna. I quadrupedi da soma, assegnati ai reparti dall’età di cinque anni ai diciotto, andavano venduti all’asta. Con lo scioglimento dell’ultima Batteria someggiata, gli ultimi ventiquattro muli in forza alle Truppe Alpine uscirono dalla caserma, non per una marcia ma perché venduti. Nell’autunno 2000, andarono a costituire il Reparto Salmerie della Sezione ANA di Vittorio Veneto. Il 29 aprile 2009, è morto Iroso, “l’ultimo di questi gloriosi compagni di tante epopee”.
Concludiamo, ispirati dal generale Palladini, osservando che queste pagine parlano di uomini e muli, di sacrificio, di abilità e di tecnica necessaria per operare all’unisono. Nei reparti alpini, mulo e conducente erano associati in tutto, capaci di dividere la fatica, il cibo, l’acqua “e probabilmente anche molte imprecazioni per il freddo, il caldo, la salita che non finiva mai”. Senza il mulo l’Alpino sarebbe stato solo, senza l’Alpino il mulo non avrebbe potuto marciare sotto il sole o nella tormenta. Il loro rapporto era basato sulla solidarietà reciproca: uomo e animale erano consapevoli di poter arrivare solo se marciavano insieme.
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