Il protetto del cervo. El protegido del ciervo
- Autore: Graciela Aráoz
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
Graciela Aráoz, argentina, è una voce poetica appassionata che raccoglie consensi internazionali, sia oltre oceano, nelle Americhe, in Giappone, in Cina, che in Europa, in modo particolare in Spagna. In Italia Samuele editore dell’artista ha pubblicato Il protetto del cervo (El protegido del Ciervo, p. 110, 2019) con traduzione di Antonio Nazzano.
È un titolo criptico, fa pensare immediatamente alle forze istintuali che ci abitano, che ci vengono date, che non possiamo eludere, che tentiamo di gestire, secondo le regole sancite dalla civiltà. Il cervo come animale totem per i Nativi Americani rappresenta l’amore incoercibile, infatti i cervi in calore devono accoppiarsi a ogni costo e sfidano anche la morte pur di realizzare il loro intento. Il loro bramito è drammatico, ancor più che un canto amoroso assomiglia a un pianto, a un lamento in punto di morte. Essere protetto dal cervo ha dunque un valore ambivalente; da una parte il totem accoglie il suo accolito entro la cerchia del clan, dei simili, degli affini, esseri estremisti, lo preserva, e i toni della poesia di Aráoz sono espressionisti ed estremi:
"Gli scrivo con la pioggia di un istante / e di una bocca che sapendo essere ritrosa / ha potuto aprirsi al desiderio. / Che cos’è stato? Un incantesimo di serpenti di un secondo / impossibile in un secolo indicibile?"
L’amore è imprescindibile, inevitabile, serpentiforme, è totalità. Ma, ed ecco l’ambivalenza, è un valore che non è del tempo, dura un secondo, simbolo di impermanenza. L’amore muore. Ma si protrae nella scrittura che preserva e diventa redenzione:
"L’infinito ormai se n’è andato / però con lui scivolo / ballando cantando / con la parola sulla lingua".
Altre volte invece l’incontro è la fine, detto in modo rovinoso, con una potenza e una constatazione che non ammette repliche:
"Con le sue labbra / ha percorso segreti / di un corpo. / Ho tremato. / Siamo tornati ad amarci. / Nel dopo / che resta negli occhi / mi ha fucilato".
L’amore, il corpo, la morte sono intimamente legati. Il sesso è un valore da celebrare senza reticenze:
"Lo sguardo si fa fiume / e il fiume guarda il sesso impunemente, / e il sesso si fa fiume".
Aráoz sa che nell’eros sta il senso della vita, cita Freud nei suoi epitaffi di vita commista alla morte che non è tale, ma pure Anaïs Nin, e di quest’ultima è la dichiarazione:
"L’erotismo è una delle basi della / conoscenza di se stesso, / tanto indispensabile/ come la poesia".
La sessualità è vissuta come infinito, in modo mistico la morte non è morte, continua a essere vita anche dopo, qui, con una consapevolezza che non ha bisogno di spiegazioni né dimostrazioni; è una eternità apodittica, oracolare. L’eternità è nella magia del nome, come quando in modo surreale lei, io narrante ma io universale, immagina la scena del suo funerale:
"Il mio nome nella cassa sembra smeraldo / e rido la mia fame di disperazione / è stato un istante degli dei nel teatro della commedia. / [...] Sono morta, però neanche da morta ho perso / il mio nome".
Nell lirica Cimitero che apre la raccolta, dedicata al padre, si legge:
"Mio padre è morto e leggo le sue parole / nella mia parola, / e vedo negli occhi di mio padre".
Il travasarsi dai morti ai vivi senza soluzione di continuità è un sentimento più intenso di qualunque perdita enumerata. Fa parte di una credenza atavica, millenaria, che la poeta riesuma, attualizza. In ciò simile a Rilke nelle Elegie. E sebbene il corpo in fine sia "sotto", sottoterra, esso diventa letto del fiume vitale inarrestabile:
"L’uomo legge il destino del corpo / sotto il fiume / che mai si ferma".
Il fascino di questi versi sta nel superare la ragione discorsiva, nel puntare totalmente all’istinto, nel riappropriarsi di una saggezza al femminile. Non per nulla Aráoz riprende Emily Dickinson: "Tutto è uguale da tutte le parti / diceva Emily".
Infatti: per tutti è destino amare, morire, in qualche modo perdurare. Scriverlo è sempre necessario.
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