Il sangue di Manitou
- Autore: Graham Masterton
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Gargoyle
C’è New York City affollata da zombi-vampiri come nemmeno un bus nella classica ora di punta, ma più che nel film capostipite del filone (“La notte dei morti viventi”, di Romero) sembra di essere finiti dritti in uno dei suoi sequel crossover alla Fulci, che combinano grandguignol, epidemic-movie e humor nero tutti insieme.
Se a insaporirli in salsa letteraria è la penna ultra-rodata di Graham Masterton - attraversatore di lungo corso della narrativa di genere made in England - potete scommetterci l’intera paghetta settimanale che “Il sangue di Manitou” (Gargoyle) finirà col piacervi, dalla prima all’ultima pagina, come si dice. L’incipit è in sordina, come succede negli horror degni di tal nome: una mimo donna si sente male, vomita ettolitri di sangue nel bel mezzo di una strada della Grande Mela e ben presto, non solo si scopre che il sangue non è suo, ma che l’emula di Nosferatu non è nemmeno l’unica ad averlo ciucciato dalla giugulare di vittime scelte a caso. Sintomi collaterali all’irrefrenabile sete di sangue, caldo da tristi tropici, fotofobia e un pallore cadaverico come nemmeno Barbara Steel negli horror della Hammer.
Frattanto che il personale medico stenta a raccapezzarsi sulla genesi dell’agente patogeno (come non comprenderlo, del resto?), il contagio ha il tempo di moltiplicarsi in maniera esponenziale, insieme al numero di morti, dei morti-viventi e alla diffusione del panico sullo sfondo di una città pre-apocalittica.
Il solo ad accorgersi di una possibile origine supernaturale della pandemia è il sensitivo - più per necessità alimentari che per autentica vocazione - Henry Erskyne (già protagonista del primo “Manitou” di Masterton, da cui il film di William Gilder del 1978), che dovrà vedersela ancora una volta, suo malgrado, coi vivi e coi morti, gli spiriti buoni degli indiani d’America, ma soprattutto col redivivo Misquamacus (anch’egli protagonista di “Manitou” n.1), che a leggerlo così sembra un nome da scioglilingua messicano, ma invece è il padre di tutti gli spiritacci cattivi e guai a scherzarci troppo se si vuole salvare la pelle.
Sin qui il succo di un solido romanzone di genere. La polpa, dite? Tra le righe se ne trova abbastanza per parlare di voluto citazionismo, nel senso che Masterton attinge a piene mani dai topoi di cinema e letteratura fantastique, strizzando l’occhio anche agli archetipi dell’inconscio collettivo di estrazione junghiana, per buttarla un po’ sui riferimenti colti. Certo che se amate solo e sempre i trattati sulla fisica dei quanti vi conviene girare alla larga, ma se di tanto in tanto sapete concedervi una vacanza tra i rivoli della lettura di intrattenimento (peraltro congegnata e scritta con dignità superiore alla media) il romanzo di Masterton non mancherà di prendervi alla gola. Trattando di vampiri è il caso di scriverlo, no?
Il sangue di Manitou
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