Il secolo breve
- Autore: Eric J. Hobsbawm
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: BUR
- Anno di pubblicazione: 2014
Il secolo breve, riferito al secolo XX, è diventata un’espressione comune fra quanti si occupano di storia, politica, sociologia. È interessante leggere, o rileggere il libro dello storico inglese Eric J. Hobsbawn, di ascendenze austriache, così appunto intitolato, Il secolo breve, tradotto da Brunello Lotti, che ebbe molte ristampe, fino all’edizione economica BUR del 2014.
“Breve” perché il periodo considerato va dal 1914 al 1991, dall’inizio della Prima guerra mondiale, che vede dissolversi i tre grandi imperi austriaco, inglese e ottomano, con modificazioni radicali nell’assetto politico europeo e l’inizio della decadenza europea, fino al crollo dell’URSS.
L’autore deve il titolo del libro all’amico Ivan Berend.
È stato un secolo che ha visto l’accelerazione della scienza e della tecnologia, del benessere materiale. Nell’ultima parte però si assiste al crollo del tenore di vita, insieme alla fine delle ideologie, dei valori (Dio, famiglia e patria, per intenderci) legati alla civiltà pre industriale, all’economia agraria.
Aumenta il lusso di pochi di fronte alla disoccupazione, all’inflazione, alle grandi crisi monetarie; il capitalismo non sa trovare soluzioni ai problemi che esso comporta, nati da un liberismo sfrenato fino al monopolio transnazionale che ha dietro di sé le concentrazioni finanziarie.
È un secolo di guerre e genocidi ripetuti. Con l’avvento dell’aviazione infatti le guerre non si combattono più tra eserciti contrapposti ma con il bombardamento della popolazione civile, spesso a tappeto.
La forma mentis è concentrata sul guadagno, la competizione a oltranza, l’individualismo asociale. Il presente diventa l’unica realtà, le radici dimenticate, tanto che:
Perfino la guerra del Vietnam rientra nella preistoria.
Perché le grandi potenze europee, prima di cadere nel baratro della Grande guerra, che sarebbe diventata mondiale, non riuscirono a trovare un accordo diplomatico capace di risolvere le controversie? Dobbiamo chiedercelo, afferma Hobsbawm. La risposta sta in un’unica parola: megalomania.
La Germania con la sua potenza militare ed economica avrebbe voluto diventare nazione egemone, prendere il posto dell’Inghilterra il cui impero coloniale tramontava. Abbiamo quindi la guerra di trincea, dove i fanti vivevano tra topi e pidocchi, in attesa dell’assalto, ma sapevano che usciti dal riparo sarebbero stati falciati dalle mitragliatrici nemiche. Nella difesa di Verdun, durata quasi un anno, 1916, i francesi persero un milione di uomini. La disfatta di Caporetto fu un’ecatombe per l’Italia.
La Germania iniziò a usare gas venefici da spargere nelle trincee, operazione poi vietata nel trattato di Versailles del 1919, nel quale si stabilivano limiti punitivi per la Germania sconfitta: si eliminava la sua flotta, dati gli effetti nefasti dei suoi sottomarini che avevano impedito il rifornimento alimentare via mare all’Inghilterra e alla Francia; il suo esercito non poteva superare i 100.000 uomini. Tutto inutile.
Il 30 gennaio 1933 Hitler diventa cancelliere del Reichstag e il trattato di Versailles viene totalmente dimenticato.
Lo studioso sottolinea che da parte del popolo tedesco non ci fu mai una reazione al nazismo; solo un gruppo di ufficiali organizzò un colpo di stato contro Hitler, ma fallì e i protagonisti furono uccisi.
Il gas nervino venne usato nei forni crematori. Per onorare la memoria di Primo Levi e il dramma di tutti gli internati nei lager, sono riportate le sue parole:
Non siamo noi, i superstiti [del lager] i testimoni veri. È una questione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco, leggendo le memorie altrui, e rileggendo le mie a distanza di anni. Noi sopravissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua, siamo quelli che, per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto.
Secondo lo studioso bisogna considerare la prima e la seconda guerra mondiale come un’unica guerra lunga 31 anni, dal 1914 al 1945. Nella prima guerra, gli inglesi chiesero aiuto e sostegno alle comunità ebraiche sparse nel mondo, promettendo loro in cambio la creazione dello stato di Israele nella Palestina, abitata da secoli dagli arabi.
Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, prima venne combattuta dall’Occidente anche dall’interno, non solo con l’invio di armi ma anche di uomini, poi si provvide a creare un “cordone sanitario” di stati anti soviet, così veniva chiamato, intorno all’URSS, ricavati dall’ex impero austriaco, per arginare il comunismo. Ciò non toglie che Occidente e URSS poterono unirsi per combattere il nazismo, e sebbene l’intervento americano in Europa con lo sbarco in Sicilia (luglio 1943) fu importante, la guerra fu vinta dai sovietici nella lunga, durissima battaglia di Stalingrado, terminata il 2 febbraio 1943; senza questa eroica resistenza, l’Europa sarebbe stata sottomessa alla dittatura.
L’Occidente imparò dai sovietici a programmare lo sviluppo economico, nel contempo la Guerra fredda fu il proseguimento della guerra non ufficialmente dichiarata, con momenti di estrema tensione, come la crisi tra America e Cuba-URSS, al limite del conflitto nucleare, evitato per il buonsenso di Kennedy e Crusciov (1962).
Un aspetto tragico del secolo breve è stata la finalità dei conflitti, combattuti pensando a salvare i propri soldati e ad annientare totalmente l’avversario. Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945 non erano affatto necessarie, il Giappone era già sconfitto, ma si voleva ciò che viene chiamata “resa senza condizioni”.
La crudeltà non ha avuto limiti. Il risultato è stato il predominio americano occidentale, costellato da guerre compiute per mantenerlo.
Dopo un periodo d’oro trentennale, con lo sviluppo economico in crescita, dal dopo guerra fino alla fine degli anni Settanta, si assiste a un progressivo decadimento del capitalismo. La civiltà dei consumi produce spese superiori al PIL, un dispendio di risorse inarrestabile.
I debiti delle nazioni crescono, mentre la crescita demografica europea si riduce fino ad arrivare a zero. Il problema delle migrazioni inizia a manifestarsi, indotto da guerre e carestie, funzionale anche all’utilizzo di mano d’opera a basso costo.
L’assetto politico mondiale è del tutto instabile, data la tendenza alle rivoluzioni del cosiddetto Terzo mondo, alla loro rivendicazione di libertà, di non essere colonizzate dai più forti in senso militare e finanziario.
La conclusione di Eric J. Hobsbawn è comunque speranzosa, poiché l’autore intravede:
Un futuro sconosciuto e problematico, ma non necessariamente apocalittico.
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