In lode della vita non vissuta. Ovvero l’importanza della frustrazione
- Autore: Adam Phillips
- Genere: Autostima, motivazione e pensiero positivo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2013
E’ una vita che ci penso: il mio sogno era fare l’astronauta. Peccato che mastichi meno di zero di astronomia e che basta un mezzo giro sulle montagne russe per mandarmi in tilt una settimana. Non vi scandalizzate, conosco anche uno che avrebbe voluto fare lo scrittore leggendo solo Topolino. Quando si dice sogni infranti, di più: schiantati contro i dirupi della realtà. Il fatto è che la maggior parte di noi alleva il miraggio della sua vita di scorta - la vita meravigliosa che avrebbe potuto/dovuto vivere se quella volta avesse, o se quell’altra fosse - relegata alla sfera della pura idealità. Un alibi come un altro per compensare le frustrazioni discendenti dalla vita vera, la stessa che marcia, quasi sempre, così così.
Il nuovo saggio di Adam Phillips “In lode della vita non vissuta. Ovvero l’importanza della frustrazione” (Ponte alle grazie, 2013) gira più o meno intorno a questi temi, aiutando a farsi un’idea - e una ragione pure - su come vanno le cose a questo mondo e nelle nostre esistenze ancora di più. Adesso seguitemi in un postulato terra-terra sul quale si edifica, mi pare, buona parte dell’assunto del libro. In fondo è la solita vecchia storia dello yin e dello yang, il legame intrinseco che corre tra gli opposti: se non ho contezza del freddo non sarò mai consapevole del caldo, vale lo stesso per le antinomie bello/brutto, felice/infelice, bene/male, e così via. Ciascuna percezione (fisica o psichica che sia) per essere riconosciuta come tale ha, insomma, bisogno di sperimentare il suo contrario. Idem per la frustrazione che discende dalle occasioni possibili e mancate, impalpabili viottoli ontologici attraverso i quali si delineerebbe invece, stando a Phillips, il quadro intrapsichico di ciò che siamo diventati. Per riallacciarci all’assioma precedente: senza frustrazione non ci sarebbe soddisfazione, senza inattuabilità pienezza della vita, e anche la scelta di amare qualcuno deve necessariamente passare prima dalla rinuncia ad amare (in potenza) qualcun altro. Con ulteriori parole: stare al mondo significa soprattutto adattare i bisogni alla realtà. Come sintetizza efficacemente lo stesso Phillips:
“Ci saranno sempre una vita vissuta, e la vita che la affianca, la vita parallela, o le vite parallele, che non si sono mai realizzate, che viviamo nella nostra mente, la vita (o le vite) che tanto desideriamo: i rischi che non abbiamo corso, le opportunità che abbiamo evitato o che non ci sono state concesse. Le chiamiamo vite non vissute perché in qualche modo crediamo che avremmo potuto viverle, ma per qualche ragione (…) non è stato possibile. E ciò che non è stato possibile diventa fin troppo facilmente la storia della nostra vita”.
Anche in forza di una scrittura brillante e sfaccettata, “In lode della vita non vissuta” risulta un lavoro utile, acuto, provocatorio: in un mondo affetto da superomismo ci invita, piuttosto, a riappacificarci col senso del limite (e, perché no, anche del fallimento), in una parabola di autoconsapevolezza piuttosto che di rinuncia, di crescita interiore piuttosto che di resa. C’è anche che “In lode della vita non vissuta” è un saggio-saggio e non promette miracoli come un qualsiasi manualetto self help, è un libro serio per lettori-esploratori interessati ai meccanismi impalpabili attraverso i quali si delinea la struttura autentica del nostro io. Le pagine sono 196, il prezzo più che accessibile: 16 euro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: In lode della vita non vissuta. Ovvero l’importanza della frustrazione
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