Andrea Dei Castaldi, dopo alcuni romanzi pubblicati dalla casa editrice Barta, torna in libreria con Le parole d’ordine.
Per l’occasione lo ha intervistato la nostra collaboratrice Giovanna Giraudi.
- Buongiorno Andrea, benvenuto su SoloLibri. Può dirci com’è nato il suo romanzo?
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Come sempre mi capita – o mi è capitato finora – prima ancora di avere una storia da raccontare, o prima ancora di incontrarla da qualche parte, cerco di mettere a fuoco quello che sarà l’oggetto della mia ricerca, spesso un singolo concetto, un’idea più o meno precisa, ciò che potremmo definire un tema. Solitamente questo oggetto mi si palesa come un pensiero latente ma ostinato, una sorta di cruccio seppure ancora indefinito, qualcosa che mi porto dietro per un po’ e di cui non riesco a liberarmi, fino a che non lo riconosco chiaramente leggendo i segnali che mi manda il “mondo esterno” in forma di coincidenze. Si tratta solamente di rimanere vigili, ricettivi, e di riuscire a intuire un disegno senza neanche il bisogno di unire i puntini. O, perlomeno, per me funziona così.
Nel caso di questo romanzo credo di aver avuto fin da subito la certezza che avrei dovuto parlare di fede, e non intesa solamente nella sua accezione religiosa o spirituale, ma in tutte le sue declinazioni. Ciò che mi interessava era la sua necessità, il suo essere indispensabile per vivere. Credere in qualcosa senza bisogno di conferme o rassicurazioni, al contrario ricavandone costantemente e soltanto la certezza di stare sbagliando, eppure non rinunciandovi mai.
- La vicenda, pur muovendosi tra il 1931 e il 1978, è incentrata su fatti e su ricordi di guerra. Perché questa scelta?
Tra le tante coincidenze di cui parlavo poco fa, e che mi hanno portato a immaginare questa storia, c’è stata la telefonata con cui un mio amico d’infanzia mi raccontava del classico trasloco e dell’ancor più classico rinvenimento di uno scatolone nel sottotetto zeppo di vecchie lettere e altri splendidi tesori.
Tra questi la corrispondenza del nonno, ex caporale dell’esercito italiano gravemente ferito sul fronte africano durante la Seconda guerra mondiale, con alcuni suoi commilitoni ritrovati poi in tempo di pace.
In questi casi la mia curiosità è sempre grande, soprattutto quando intravedo la possibilità di un racconto di prima mano da chi ha vissuto esperienze tanto lontane dal mio quotidiano da risultarmi quasi incomprensibili. Ecco che allora nasce in me la voglia e la necessità di comprenderle. In queste lettere più che una storia da raccontare ho avuto l’impressione di trovarvi chiaro proprio il tema che cercavo di mettere a fuoco da tempo.
Alcuni dettagli del contesto che si coglievano qua e là nella corrispondenza – la Libia, il deserto, i campi di prigionia in India, la Resistenza, il difficile ritorno alla cosiddetta normalità nel dopoguerra – mi hanno comunque affascinato, costringendomi ad approfondire alcune pagine forse ancora poco note della nostra storia più o meno recente. Ma credo che la presenza ingombrante della guerra tra le pagine de Le parole d’ordine nasca anche da un ulteriore motivo, cioè la convinzione che le situazioni più estreme tirino sempre fuori il nostro peggio e il nostro meglio, ed era proprio di questi estremi che volevo narrare, il bianco doveva essere bianco e il nero doveva essere nero.
- Il protagonista indiscusso è Oreste che, ancor bambino, ha un’esperienza straordinaria in acqua. Ci presenti lei questo personaggio.
Quando ho cominciato a immaginare Oreste, nelle mie intenzioni sarebbe dovuto essere una sorta di Myškin, il principe de L’idiota di Dostoevskij, un personaggio enigmatico e a suo modo estremo, l’uomo più buono e onesto della terra.
Ma in qualche modo Myškin rimane una figura profondamente umana e sofferente, mentre ho voluto fare un passo oltre, con Oreste, ho voluto assegnargli una natura quasi angelica, per certi versi sovrumana, senza perdere però un grammo della sua umanità. Oreste non è che un ragazzino quando rischia di annegare in un canale accanto alla casa dei nonni, e questa esperienza – che per lui ha in sé qualcosa di mistico – lo renderà per sempre “un diverso”, qualcuno in grado di guardare la propria vita e quella degli altri da un punto di osservazione esclusivo, se non dall’alto diciamo da un passo di lato, con una serenità e una fermezza straordinarie.
Oreste diventa una sorta di “centro di gravità permanente” attorno al quale si agitano e si affannano le traiettorie di chi vi entra in collisione, incarna una potenza metafisica, esterna, come un destino che grava – sempre in maniera positiva – sulle vicissitudini tragiche, strazianti o commoventi dei personaggi che gli stanno intorno.
- Ad accompagnare Oreste nel passare degli anni, ma soprattutto nel periodo della guerra, ci sono tre uomini: il cappellano militare Stefano Casadei, il capitano Domenico Buzzati e il dottor John Abbott. Sono tutti accomunati dalla dolorosa esperienza bellica che li ha cambiati profondamente. Cosa può dirci al riguardo?
Si tratta di tre persone che sono state derubate di ciò in cui più credevano, l’hanno visto spazzato via brutalmente dalla guerra e dalla sua logica terribile e disumana, ma soprattutto ne sono state sopraffatte.
Possiamo dire che tutti loro hanno perduto la fede nel proprio “dio personale”, in qualche modo perdendo sé stessi. Stefano dopo la guerra smette l’abito di sacerdote, e nonostante la sua fede in Dio non venga meno è l’istituzione ecclesiastica e la sua necessità ciò che si sente costretto a mettere in dubbio. Domenico ha visto crollare miseramente i propri ideali politici, e ora fatica a ritrovare un proprio posto nel mondo, un ruolo qualsiasi in una società che sembra averlo espulso e dimenticato. John ha perso l’amore e la fiducia nel suo potere salvifico, e sebbene abbia raggiunto un notevole successo a livello professionale vive una profonda solitudine e una dimensione affettiva cristallizzata e immobile, il suo è un vero e proprio “cuore in inverno”, per citare Sautet.
Tutti e tre, però, a più di trent’anni di distanza dagli eventi che li hanno piegati, proprio grazie a Oreste si trovano di fronte alla possibilità di gettare uno sguardo differente sui propri traumi, se non di superarli e risolverli, e di ritrovare quella parte di sé che credevano perduta irrimediabilmente.
- Perché lei cita Papa Luciani nel corso del romanzo?
Quella di Albino Luciani è una figura che mi ha sempre affascinato, forse perché la tragica e per certi versi misteriosa conclusione della sua breve parabola trova il proprio spazio tra i miei primi ricordi di bambino.
E ho sempre trovato carica di contraddizioni la natura del suo ruolo, quello di capo supremo dell’istituzione ecclesiastica, se messo accanto alla trasversalità di pensiero che si è potuta solamente intuire nel corso dei trentatré giorni del suo pontificato, e dove vedo contraddizioni è lì che spesso mi porta il mio istinto di narratore.
Papa Luciani è diventato così una sorta di personaggio comprimario nel corso della scrittura del romanzo, senza mai effettivamente comparirvi, ma la sua presenza è concreta e in un certo qual modo essenziale per lo svolgersi della narrazione.
- Quali sono infine le “parole d’ordine” e, soprattutto, cosa rappresentano?
A un certo punto del romanzo Domenico Buzzati afferma l’esistenza di cose che non dovrebbero mai essere messe in discussione, pena la perdita di un qualsiasi senso, e in questo caso – e almeno per questa volta – non sta parlando di questo o di quell’ideale politico, ma del concetto stesso di ideale.
«Ciò che ci guida in ogni momento, che ci comanda», spiega Domenico, «è quanto noi diciamo di noi stessi, dei nostri bisogni, dei nostri desideri, ogni uomo ha bisogno di un dio personale, a ognuno occorre un compito, una patria, dei figli, una speranza, qualcosa per cui valga la pena vivere».
Queste sono le sue parole d’ordine, ma credo che la chiave sia comprendere che ognuno ha le sue, ognuno ha dentro di sé ciò che lo definisce, l’importante è trovare il modo di riconoscerlo, di farlo proprio, e trovare la forza di esprimerlo, sempre, senza paura.
Recensione del libro
Le parole d’ordine
di Andrea Dei Castaldi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Andrea Dei Castaldi, in libreria con “Le parole d’ordine”
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