Paolo Del Colle è uno scrittore a tutto tondo. Ha scritto romanzi, saggi e libri di poesia.
Nato nel 1957, vive e lavora a Roma come professore e come uomo di lettere.
I temi toccati da Paolo Del Colle nelle sue opere sono altissimi: dal perché siamo abitanti del pianeta Terra, le esitazioni e la condizione esistenziale dell’uomo, i legami familiari, il bisogno di avvicinarsi a una donna o agli amici per sfuggire dalla solitudine umana.
Tra i primi titoli da lui pubblicati c’è il romanzo Le ragazze dell’Eur (Quiritta edizioni, 2001), la storia di un professore quarantenne che insegna in un Istituto professionale. Il romanzo trae origine dalla realtà soggettiva dello scrittore, che nella sua prosa mescola audacemente narrativa, memoir e poesia. Nel 2014 pubblica il suo libro più famoso Spregamore (Gaffi editore, 2014), un’opera ipnotica in cui l’autore ci trascina nelle vicende del suo protagonista, un uomo smarrito che vive ogni giorno come se fosse l’ultimo mentre assiste la madre morente.
Recensione del libro
Spregamore
di Paolo Del Colle
Con Nuda proprietà (Melville edizioni, 2018), che appare come il romanzo di chiusura della trilogia iniziata con Le ragazze dell’Eur, Del Colle vince il Premio nazionale Frascati. Il libro si prospetta come il diario di un’insonnia che presto si trasforma in un lungo incubo notturno.
Nel romanzo successivo Il cavallo di Aguirre. Un incontro mai avvenuto con Werner Herzog (Castelvecchi editore, 2020), Paolo Del Colle immagina un incontro con il grande regista tedesco continuando a miscelare saggio, narrativa e memoir.
La sua ultima raccolta di poesie edita da Amos Edizioni, Stato di insolvenza, sarà presto in libreria ed è lo scritto da cui nasce questa intervista.
Stato di insolvenza
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- Una cosa che ho sempre trovato strana è che se avesse continuato con la narrativa, forse sarebbe arrivato un grande successo, invece ha scelto la poesia. Come se avesse paura dei grandi numeri. È soltanto una mia impressione oppure è così?
Intanto grazie per la fiducia in un mio possibile successo narrativo, ma non credo che sarebbe arrivato, comunque non è detto che abbia rinunciato alla prosa: in questo momento mi sembra che una “storia” attendibile possa essere raccontata solo dalla poesia. I grandi numeri, se si intendono quelli di un eventuale successo editoriale, non mi spaventano perché non si può aver paura di ciò che è impossibile; in ogni caso, anche se ne avessi realmente paura, sarebbe un sentimento che sorgerebbe a chiusura di un libro, non certo mentre lo scrivo. Detto in altri termini, non condiziona il mio scrivere, non penso mai a come verrà letto, non mi pongo il problema di cosa si aspetti l’ipotetico lettore, non scrivo per piacere a molti o a pochi, credo di essere un giudice abbastanza severo di me stesso.
- Infatti alle parole in versi arriva con una certa gradualità. In Nuda proprietà (Melville edizioni, 2018), le parole in versi sono inframezzate da pagine in cui sembra ancora prevalere la forma narrativa. Anche nel suo ultimo libro su Herzog predomina la parte narrativa, Il cavallo di Aguirre. Un incontro mai avvenuto con Werner Herzog (Castelvecchi editore, 2020). Lei sembra indeciso su tutto, una condizione che a me piace molto, ma i lettori che ne pensano?
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Nuda proprietà in effetti è una storia racchiusa nel tempo di una notte insonne. E potrei aggiungere che sono andato sempre più restringendo il “tempo”; di una vicenda, sia nella prosa sia nei versi: forse sogno di annullare il tempo. L’indecisione la chiamerei una non comprensione: non comprendo il mondo, non comprendo me stesso. So di non possedere nessuna verità, che nemmeno cerco: quella è compito della scienza.
Non so se questo allontani o attragga i potenziali lettori. Vorrei che questo ipotetico lettore entrasse in una zona dove tutto è precario e per questo disperatamente libero, anche se questa zona può diventare claustrofobica e far scappare dalla pagina: ma deve mancare il fiato, come manca a me quando scrivo e sentire che in questo paura o non comprensione la vita rimane comunque sospesa, mostra la sua disponibilità.
Il cavallo di Aguirre comunque è il libro della vita, quello in cui mi mostro più indifeso, volutamente, perché è un libro di puro amore e nello stesso tempo è un fare i conti con la mia esperienza narrativa, portarla all’estremo.
- Da anni lei scrive della sua condizione di “debitore” che non può pagare e si rintana nelle sue ossessioni. Sbaglio o è veramente così?
No, è così. Da sempre sento di non aver dato alla vita, alle persone, ai miei amati animali, quello che dovevo e non potrò mai più dare.
- È difficile farle un’intervista lineare su un solo libro quando si sono lette tutte le sue opere. Allora per curiosità le chiedo, quando è nato questo interesse per Werner Herzog?
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Werner Herzog ha cambiato la mia vita nel 1975, da allora non ho smesso di seguirlo, di leggerlo in modo sempre diverso, di dialogarci come fosse un reale interlocutore della mia vita. Un insegnamento rimaneva invariato: c’è qualcosa di tragicamente perduto nelle immagini di Herzog, le sue visioni estatiche mostrano un mondo disperatamente perduto che potrebbe rivelare la sua verità solo con la nostra estinzione, perché non possiamo entrarci, c’è una proibizione, una replica dell’angelo di fuoco davanti all’Eden. Io immagino che dentro ci siano da sempre gli animali e forse lo pensa anche Herzog. Esemplifico con sua frase, andando a memoria: “Ogni luogo abbandonato diventa la terra promessa”. Lo dice mentre ci mostra questo luogo in cui appare improvvisamente un cavallo.
- L’incontro immaginario con Herzog si poteva anche fare, ma lei, Paolo, sembra ossessionato anche dalla morte. Soprattutto. Come sta vivendo questo periodo di pandemia da Covid-19?
Almeno ora siamo meno ossessionati, ma il periodo “duro” l’ho vissuto in un momento difficile, la malattia di mia sorella: ricordo ospedali, autocertificazioni, tamponi continui, sirene delle ambulanze. Questo mescolarsi di eventi mi ha creato un limbo temporale; non riesco a sistemare quanto accaduto in questo periodo in un ordine cronologico. Ciò che è successo si allontana o avvicina troppo. Mi è rimasta la paura di contagiarmi e di contagiare e quindi aumentare la distanza tra me e gli altri, tra me e la vita.La morte mi ossessiona, vero, la morte è il mistero assoluto, non ne sappiamo nulla eppure sembra essere ciò a cui ci rivolgiamo per dare un senso alla vita, il processo dovrebbe essere inverso, la vita deve dare un senso alla morte, in questo significato è un tema ricorrente e ossessivo in ciò che scrivo.
- Perché nei suoi libri di poesia usa dei termini mutuati dal diritto civile? Allora cosa è la “nuda proprietà” e come possiamo definire “lo stato di insolvenza”?
Mi affascina il linguaggio tecnico, anche quello giuridico: descrive una relazione, una situazione senza soggetto o meglio che vale per tutti e ai miei occhi assume un valore
ontologico o metafisico; insomma mi permette di scrivere evitando il “sentimentalismo”, e assumere l’Io come elemento sempre precario, effimero o addirittura intercambiabile.
Pensiamo all’insolvenza, insolvenza è certo un senso di colpa, ma anche una promessa non mantenuta ancora da rispettare è un non far coincidere la vita con se stessa, con quel che è stata ed è, dunque è anche una apertura al futuro che nasce in questa lacerazione, perché in questa distanza tra esistenza e ciò che le dobbiamo si può scrivere, anche se non si fa altro che approfondire la ferita, giungere sempre e solo al poter additare la vita: eppure solo perché lo rendiamo distante il mondo non coincide con la sua evidente follia ma con una possibilità.
- In esergo, per Nuda proprietà mette delle parole, mezze frasi di Yaakov Shabtai sul ritornare a vedere i genitori un giorno. Che cosa le ha insegnato lo scrittore Shabtai?
Senza fare una battuta, cosa che non mi permetterei mai di fare su Shabtai, mi ha insegnato che non possiamo insegnare niente, che nella vita tutti cerchiamo una impossibile consolazione e dobbiamo rispettare le fragilità di ognuno. Mi ha insegnato che Il fallimento di un’esistenza può essere il senso compiuto di una vita e non un insuccesso, mi ha insegnato che la verità, quella della vita, può avere diversi percorsi, ciò che è stato ha la stessa dignità di ciò che non è stato, e dunque il fallimento non è una vita sprecata ma una modalità di accedere alla sua verità.
- Stato di insolvenza, anche se attraversato da una disperazione senza requie, non ha quello conclusione senza speranze di Nuda proprietà, è paradossalmente più rassegnato ma meno “nevrotico”. Sembra che lei dica “Tutto è compiuto”; come nel Venerdì Santo del Cristo in Croce. È una specie di commiato?
Posso capire questa sensazione; è un libro che ha un ruolo simile a quello de Il cavallo di Aguirre: qui faccio i conti con me stesso e con tutta la mia produzione poetica. Il finale è insieme un perfetto commiato e l’apertura a qualcosa di nuovo. Ora, sul futuro non si può dire nulla, non so se pubblicherò un altro libro, ma se così fosse considero di aver lasciato un ritratto conchiuso, senza rimpianti.
- Lei non è sposato e non ha più i genitori. Sembra, però, molto legato a delle persone che nel corso del tempo le hanno dato la forza di andare avanti. Cosa è dunque l’amicizia? Un sentimento totalizzante?
L’amicizia è un sentimento essenziale per andare avanti, sapere che c’è qualcuno che non ti abbandona, che ti accetta per quel che sei; però non direi che è un sentimento totalizzante, anzi è preziosa perché lascia dei buchi, permette paradossalmente di avere un segreto, perché tale è solo quello che non dirai mai agli amici. Forse questo segreto non esiste ma l’amicizia ti permette di pensare di averlo perché c’è a chi lo devi nascondere. Gli amici sono gli unici che accettano il tuo segreto e lo custodiscono anche quando sanno che non esiste.
- Scrivere poesia la rasserena o la vita è scandita dal lavoro, dalle medicine, dal ritorno a casa, dalla lettura, dalla cena? Come faremo senza queste scansioni temporali? Stato di insolvenza non mi lascia, non ci lascia mentre camminiamo ai bordi di un burrone. E credo che i suoi rari momenti di tenerezza non siano per una donna immaginaria, ma verso una donna che conosce o conosceva da tutta una vita, forse una sorella?
Non sono mai astratto, non sublimo mai niente. La seconda parte del libro, Irene, è dedicata a mia sorella che mi ha lasciato unico solitario erede della famiglia, ed è la parte che divide il libro. Nella prima parte è un “Io” preda dei suoi incubi e fantasmi, la seconda, da cui siamo partiti, deve confrontarsi con il dolore reale di un altro sino alla sua morte; la terza è come scrivere di nuovo senza più la protezione delle proprie
angosce.
Come vede, è di nuovo una storia: ripeto, sento che le storie riesce a raccontarle solo la poesia libera dall’impasse della narrativa troppo preoccupata dell’orizzonte di attesa del sempre ipotetico lettore: te ne accorgi leggendo. Poi ci sono le eccezioni, ma restano lontano dai grandi numeri per rifarci all’inizio.
Posso così rispondere alla prima parte della domanda; la vita è scandita da quel che dice e ci perdiamo dentro queste occupazioni scambiandole per l’unica cosa che possiamo fare.
Ovviamente è vero, dobbiamo prendere le medicine, mangiare, pagare le bollette. Scrivere poesie è un altro tempo, anche se poi viene inevitabile il dubbio che sia
tempo sottratto alla vita. Il punto è questo: a quale vita?
Allora capisci che non stai perdendo niente, al contrario stai costruendo un’altra esistenza che non è evasione o rivelazione, non è un rinnegare il mondo, cosa troppo facile che lascio ai vari orfismi, è sempre la tua esistenza, sei sempre tu con tutte le tue debolezze le tue gioie e dolori, ma finalmente non coincidono con il tempo che passa, con la follia del mondo, diventano una possibilità, non un pagarne le conseguenze, perché in fondo questo dobbiamo fare, come uomini o donne, dare una possibilità alla vita o, se vuole, lasciare che sia una possibilità.
Ecco, scrivere versi non mi rasserena mi dà, per quel che dura, l’idea di essere nel giusto, non nella verità, nel giusto.
Recensione del libro
Stato di insolvenza
di Paolo Del Colle
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Paolo Del Colle, in libreria con “Stato di insolvenza”
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