È in libreria da poco tempo La luce bianca del mattino (Morellini, 2021), il primo romanzo di Cecilia Parodi, scrittrice genovese che ora vive in Sardegna. Anche la storia è ambientata nell’isola e si rivela un romanzo fatto di dolore ma con una conclusione luminosa proprio come “La luce bianca del mattino”.
Ecco come Cecilia Parodi ci parla di sé e del proprio romanzo.
- Chi è Cecilia Parodi e come nasce la sua passione per la scrittura?
La passione per la scrittura nasce insieme a me, ho imparato a leggere e scrivere da sola quando ancora andavo all’asilo. Quello è stato l’unico guizzo di genialità nella mia esistenza, e so che aveva turbato parecchio i miei genitori. In seconda elementare ho scritto un horror, rimasto incompiuto e che ancora conservo. Sono poi passata alle poesie nel periodo adolescenziale, quindi ai racconti brevi e questo è il mio primo romanzo. Descrivermi come persona è complicato, posso riassumere dicendo che amo viaggiare e non fare vacanze, in particolare amo i paesi medio orientali e nordafricani. Sto bene quando guardo donne velate, mangio speziato e ascolto il richiamo alla preghiera. Sono una buonista, di indole, da sempre: le maestre mi chiamavano “avvocato delle cause perse”, perché intervenivo con decisione contro qualsiasi forma di discriminazione o ingiustizia. Non sono cambiata, io amo profondamente la vita e sono convinta che sia davvero facile convivere con gli altri e con la Terra. La maggior parte delle persone sceglie l’odio, ma qui potremmo avere tutti un’esistenza paradisiaca se solo facessimo un piccolo sforzo.
Amo leggere e stordirmi di musica.
- Il romanzo è ambientato in Sardegna, sua terra d’adozione. La scelta dell’ambientazione è dovuta al fatto che essa sia giusto sfondo per le vicende raccontate?
La Sardegna si presta a vari tipi di narrazione, è una terra magnifica, un microcosmo. Volevo raccontarla perché la amo, perché l’ho vista cambiare e ancora assisto a decisioni scellerate che potrebbero trasformarla in modo definitivo. Mia nonna era de La Maddalena, per me gli inverni erano solo attesa della vita vera che mi accoglieva finita la scuola, tra le strade polverose e inondate da un sole bollente dove io mi sentivo finalmente libera. Sono partita da questi ricordi, li ho cuciti addosso a Bianca e andando avanti con la storia ho compreso quanto fosse uno sfondo appropriato, con le sue contraddizioni si è incastrata egregiamente con la psicologia dei personaggi. Bianca troverà il modo di approfittare dello sviluppo economico, senza perdere rispetto e amore per la sua terra, dalla quale prende nutrimento per l’anima esattamente come le piante della macchia mediterranea.
- Soffermandoci un poco sui protagonisti, può dirci chi è per lei Bianca?
Erroneamente qualcuno pensa sia il mio alterego, ma Bianca è migliore di me. Quando si scrive è inevitabile mettere un pezzetto di noi stessi in ogni personaggio: può essere un pensiero, uno sguardo, un istante che ci ha attraversato. Bianca ha i miei occhi, guarda il mondo con un’incrollabile speranza, però Bianca è silenziosa e determinata. Io tendo a fare rumore, e a tormentarmi di dubbi o inutili sensi di colpa.
Per me lei è una giovane donna con una fierezza poco evidente, è il super eroe senza mantello che si nasconde tra noi. Siamo circondati da grandi eroi, non siamo capaci di vederli e se capita di riconoscerli spesso danno quasi fastidio.
- Considera la storia più una saga familiare o un romanzo di formazione?
Nella mia testa era una saga familiare, poi è stato classificato come romanzo di formazione. Credo possano coesistere le due definizioni. Mi ha fatto sorridere leggere commenti in cui mi si chiedeva di approfondire la parte degli avi, oppure di continuare a raccontare di Bianca adulta. Chissà, magari un giorno proverò.
- Le vicende narrate sono spesso prive di fortuna: perché questa scelta? Perché Bianca perde in modo tragico il padre e non ha una vera figura di riferimento nella madre?
La vita è spesso priva di fortuna, mi piace raccontare la vita vera senza inzuccherare la pillola. Ci sono romanzi spensierati, una validissima forma di intrattenimento, di evasione. Non sarà mai il mio standard, anzi mi sono addolcita negli anni. Ho racconti brevi spietati, e forse posso apparire contraddittoria visto che prima raccontavo della mia incrollabile speranza. Penso, però, che cercare bellezza e bontà non significhi indossare lenti magiche rosa. C’è tanto male, tanto orrore, ci sfiora ogni giorno e dobbiamo esserne consapevoli altrimenti il rischio è quello di chiudersi in un recinto ben arredato e dimenticare gli altri. La storia di Bianca è difficile, ma non la peggiore possibile.
- È palese che il passato ci segni, ma mentre Pietro, il padre della protagonista, si lascia soverchiare da antichi dolori, Bianca ha un’inimmaginabile forza d’animo. È questo un messaggio di fiducia per le nuove generazioni?
Per tutti noi arriva un momento in cui bisogna fare una scelta e decidere se rimanere schiavi di un dolore, un trauma, un lutto, oppure ricominciare a respirare a pieni polmoni. Provo a insegnarlo anche a mia figlia, le dico sempre che può accadere qualunque cosa, che è lecito piangere e stare fermi per un po’, magari spaventati e profondamente tristi. Poi si deve reagire, in caso contrario ci avveleniamo i giorni e avveleniamo chi ci ama: quello che fanno i genitori di Bianca, è facile leggendo di loro notare quante possibilità abbiano avuto per cambiare, per amare, ridere, quanto tutto fosse sempre a portata di mano, eppure non ci riusciranno mai. Bianca decide di non essere come loro, senza odiarli, semplicemente si scosta di un passo. È un passo possibile, per chiunque.
- Infine, prima di salutarci, le rinnoviamo i complimenti ma è spontaneo chiederle: avrebbe mai immaginato un futuro da scrittrice? E ora che il suo romanzo è in libreria ha già qualche progetto?
Più che immaginarlo, lo sognavo e mi vergognavo di sognarlo.
Anche io ho attraversato un personale inferno di complessi, insicurezze, disagi, e ancora oggi faccio fatica a credere che sia successo. Ho la sindrome dell’impostore, mi aspetto ogni giorno di leggere critiche feroci e recensioni disastrose. Invece mi arrivano ringraziamenti, riscontri positivi su ogni livello e resto inebetita per ore. Poi mi scrollo e penso “devo fare qualcosa di meglio”, penso alla storia che sto scrivendo adesso e mi dico “non piacerà a nessuno”, che con il secondo romanzo arriverà il massacro. Eppure scrivo, scrivo sempre e per sempre. Non mi aspetto gloria, denaro, lo faccio perché fa parte di me e credo, mal che vada, sia bello lo stesso immaginare un pronipote leggere i miei quaderni con curiosità.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Cecilia Parodi, autrice de “La luce bianca del mattino”
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