Claudia Graziani è nata a Firenze, dove attualmente abita e insegna alla scuola primaria. Appassionata di didattica, di musica corale, di culture lontane e naturalmente di lettura, ha recensito per Sololibri i romanzi degli altri, ma non aveva mai pubblicato niente di suo, malgrado la scrittura facesse parte dei suoi hobbie.
Finalmente si è decisa e a settembre è uscito il suo primo romanzo: Ruga dopo ruga (Porto Seguro Editore, 2020).
Il romanzo è ambientato a Ktabejn, isola polinesiana abitata da un popolo pacifico, che fonda la sua società su una religione sciamanica. Siamo nel 19° secolo e l’arrivo dei colonizzatori inglesi porta un grande scompiglio, visto che gli stessi erano già approdati dieci anni prima e avevano imposto a caro prezzo il loro dominio e la predicazione del Vangelo. Ranjji, la protagonista, che porta il nome di un frutto il cui succo guarisce le ferite, è tormentata da un dolore personificato come Dolore. Non riesce a prendere parte alla vita del suo popolo, ma non ne sa il motivo. Al centro della storia è il suo coraggio: affronterà il suo Dolore e anche la prepotenza degli inglesi, sfidando pericoli e oltrepassando i limiti della sua paura, proprio come le tartarughe marine appena nate escono dalla sabbia e arrancando raggiungono l’Oceano. Intorno a Ranjji ruoteranno i destini dei suoi cari e del suo popolo e alla fine le ferite saranno davvero sanate.
- Per quale motivo ha deciso di farsi conoscere come scrittrice?
Ho affrontato una malattia. La buona salute ci fa credere che la vita sia scontata e che possa procedere tranquilla con le sue false certezze e le incertezze diventate abitudini. Ma quando si rischia di perderla, essa stessa ti grida che vuole essere vissuta mettendo in gioco la nostra unicità. Se hai un talento, deve servire a qualcosa. Per questo ho tolto il manoscritto dal cassetto. Alla casa editrice Porto Seguro, che ringrazio, è piaciuto.
- Ktabejn non esiste. Cosa l’ha portata a inventarla?
Esattamente non lo so. A me le immagini vengono nel dormiveglia. Poi di giorno siedo alla tastiera e lascio che diventino parole. Non penso, mi limito a non interferire. È terapeutico. Rileggendo poi, mi meraviglio di ciò che ho tirato fuori, perché mi accorgo che ogni parola racconta qualcosa di me, anche se le esperienze che vivono i personaggi non sono le mie. Ho inventato tutto: luoghi, riti, parole, nomi e significati. La cosa fantastica è che alla fine tutto si intersecava con una logica che non avevo pensato.
- Non è banale inventare una religione. Come le è stato possibile?
Questo lo so. Ritengo che la religione di appartenenza sia un fatto meramente culturale. Se oggettivamente c’è un Dio, è lo stesso per tutti, ma noi gli diamo nomi diversi. Non a caso le religioni di ogni dove e quando hanno sempre dei punti in comune, specialmente a livello simbolico. Ho pensato quindi di inventare una religione che si affidasse a una cosa che accomuna tutta l’umanità: l’energia vitale che ci fa esistere. Non è stato poi difficile, perché sono un operatore Reiki. La fantasia e la suggestione delle varie spiritualità del mondo hanno fatto il resto.
- Definirebbe Ruga dopo ruga un romanzo storico?
Assolutamente no, anche se si parla di colonizzazione. È esistito davvero un popolo pacifico che abitava le isole Chatham, scoperto dagli inglesi: i Moriori. Sono stati sterminati dai Maori. Ma Ktabejn, ripeto, nasce solo dalla mia fantasia, e il romanzo vuole solo analizzare gli eventi umani dal punto di vista psicologico; i blandi riferimenti storici sono solo un mezzo. Ciò che è messo a nudo in questa storia è l’animo della protagonista e dei personaggi che le girano intorno. Non so se ci sono riuscita, ma volevo rendere l’idea della storia come frutto delle emozioni delle persone. Affrontando il suo Dolore, Ranjji riesce a cambiare il corso degli eventi di tutto il suo popolo.
- All’inizio del libro è scritta la seguente dedica: “A Corrado, mio amore eterno, che dall’isola di Baro dove è volato non ha mai lasciato la mia mano”. Lei ha recensito vari libri di Corrado Sobrero. Quanto ha influito sul suo romanzo la presenza di lui nella sua vita?
Tantissimo. Il suo era un talento straordinario, straordinario come era lui. Il suo stile luminoso aveva il potere di far vibrare certe mie corde. Dopo la sua morte, ho scritto di getto questo e un altro romanzo. Era un modo per sentirlo sempre vicino. Probabilmente ho sentito il bisogno, come lui, di inventare un’isola in cui le cose vanno come più ci piace. Nella sua Isola di Baro c’era un popolo che inizialmente viveva nel completo oscurantismo, nella mia Ktabejn la luce è presente fin dal principio ed è potente da dissipare le tenebre. Credo di avergli voluto comunicare che neanche la morte può spegnere la sua luce.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Claudia Graziani, in libreria con "Ruga dopo ruga"
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