L’inverno è la stagione poetica per eccellenza. Infiniti cieli bianchi che promettono neve, lunghe notti gelate in cui l’alba sembra non levarsi mai, lo splendore attonito del ghiaccio, ogni elemento suscita un brivido e fa pensare, invitando a cercare il cuore caldo, intimo delle cose. Il gelo e l’inerzia dei lunghi mesi invernali hanno ispirato alcuni dei componimenti più belli della poesia italiana. Perché, pur nel suo silenzio ammantato dalla neve e imprigionato dal ghiaccio, l’inverno è una stagione viva.
Giovanni Pascoli ne I canti di Castelvecchio (1907) ritraeva la sua Notte d’inverno raccontava la fuga inesorabile del tempo.
Nella sua epigrafica Inverno, folgorante come un bagliore di luce, Giuseppe Ungaretti invece ci parla di un bisogno dell’anima. Seguono Umberto Saba che ci descrive una città ammantata dal gelo ed Eugenio Montale che in Precoce inverno compone un paesaggio invernale bucolico e tormentato capace di imprimersi nella mente con la forza incisiva di un ricordo, o forse, di un presagio.
L’inverno nella poesia italiana è metafora di solitudine, di cambiamento, di una ricerca esistenziale. Una stagione che diventa rappresentazione di uno stato d’animo preciso, di una dimensione “altra” in grado di svilupparsi parallela al nostro presente. Il gelo è una similitudine spesso abusata per esprimere il dolore, ma è anche un’immagine ricorrente che riflette un passaggio obbligato: il ghiaccio incatena la terra per poi sciogliersi al sole. La stagione invernale invita a un raccoglimento interiore prezioso e necessario, a una metamorfosi dell’anima, a ritirarsi in un bozzolo per poi, inaspettatamente, rinascere.
Scopriamo le più belle poesie italiane sull’inverno scritte Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba ed Eugenio Montale.
Notte d’inverno di Giovanni Pascoli
Il Tempo chiamò dalla torre
lontana... Che strepito! È un treno
là, se non è il fiume che corre.
O notte! Né prima io l’udiva,
lo strepito rapido, il pieno
fragore di treno che arriva;
sì, quando la voce straniera,
di bronzo, me chiese; sì, quando
mi venne a trovare ov’io era,
squillando squillando
nell’oscurità.
Il treno s’appressa... Già sento
la querula tromba che geme,
là, se non è l’urlo del vento.
E il vento rintrona rimbomba,
rimbomba rintrona, e insieme
risuona una querula tromba.
E un’altra, ed un’altra. - Non essa
m’annunzia che giunge? - io domando.
- Quest’altra! - Ed il treno s’appressa
tremando tremando
nell’oscurità.
Sei tu che ritorni. Tra poco
ritorni, tu, piccola dama,
sul mostro dagli occhi di fuoco.
Hai freddo? paura? C’è un tetto,
c’è un cuore, c’è il cuore che t’ama
qui! Riameremo. T’aspetto.
Già il treno rallenta, trabalza,
sta... Mia giovinezza, t’attendo!
Già l’ultimo squillo s’inalza
gemendo gemendo
nell’oscurità...
E il Tempo lassù dalla torre
mi grida ch’è giorno. Risento
la tromba e la romba che corre.
Il giorno è coperto di brume.
Quel flebile suono è del vento,
quel labile tuono è del fiume.
È il fiume ed è il vento, so bene,
che vengono vengono, intendo,
così come all’anima viene,
piangendo piangendo,
ciò che se ne va.
L’inverno diventa una metafora della fuga del tempo nella poesia Notte d’inverno di Giovanni Pascoli, contenuta nella raccolta I canti di Castelvecchio (1907). La giovinezza appare ormai trascorsa e la vecchiaia si profila all’orizzonte con i colori grigi, pallidi, sbiaditi della stagione invernale. Il suono del treno che rimbomba nell’oscurità, proprio come nella poesia L’assiuolo, rappresenta un triste richiamo di morte. Dapprima il poeta non lo udiva poiché era fanciullo, ma ora la sua eco si fa insistente e non vi è modo di sfuggirgli. Tutto il componimento di Pascoli, Notte d’inverno, appare pervaso da una crescente inquietudine. La lunga notte invernale riporta in vita i ricordi passati, ricordando all’anima fragile, ferita dell’uomo l’importanza di ciò che è fuggito per sempre e che non ritornerà. L’inverno rappresenta un fatto ineludibile: tutto passa e la migliore età fugge prima che sia possibile cogliere la felicità in essa racchiusa. Pascoli insiste sull’oscurità dei colori e nel riprodurre dei suoni onomatopeici sinistri come fischi, strascichi e singhiozzi. La Notte d’inverno pascoliana riproduce un’atmosfera spettrale, quasi orrorifica, facendosi correlativo oggettivo della paura più umana di tutte, quella della morte. Ogni elemento della natura attraveso sembianze quasi fantasmatiche ricorda all’uomo che deve vivere, con tutte le sue forze, perché presto potrebbe giungere la sua ora.
Inverno di Giuseppe Ungaretti
Come la semente anche la mia anima ha bisogno del dissodamento nascosto di questa stagione.
La poesia ermetica Inverno di Giuseppe Ungaretti è contenuta nella raccolta Derniere jours (1919). Si tratta di una poesia epigrafica, composta di due soli versi che tuttavia, proprio come nella folgorante Mi illumino d’immenso, dicono tutto. Ancora una volta la brevità del componimento dischiude una infinita molteplicità d’interpretazione. Ogni parola, nella telegrafica poesia di Ungaretti, ha un peso specifico e determinante, pare affacciarsi sull’orlo di un abisso e fermarsi proprio lì, sull’estremo limite, per poi trarci in salvo. Inverno rappresenta la riflessione dell’anima tramite un’efficace metafora: l’animo umano, proprio come la semente, ha bisogno di terra fertile per poi tornare a nuova vita. Il nostro Io, la nostra coscienza, deve essere coltivato proprio come un seme e necessita quindi di protezione di calore, di raccoglimento. L’inverno è la stagione ideale per foraggiare l’anima, darle alimento e respiro: con il suo gelo e la sua inerzia i mesi invernali sono una cornice preziosa in cui ritrovare noi stessi.
Inverno di Umberto Saba
È notte, inverno rovinoso. Un poco
sollevi le tendine, e guardi. Vibrano
i tuoi capelli selvaggi, la gioia
ti dilata improvvisa l’occhio nero;
che quello che hai veduto – era un’immagine
della fine del mondo – ti conforta
l’intimo cuore, lo fa caldo e pago.
Un uomo si avventura per un lago
di ghiaccio, sotto una lampada storta.
Umberto Saba raccontò di essersi ispirato, per scrivere questa sua poesia, a un lungo inverno a Trieste che gli apparve come “la fine del mondo”. La protagonista della lirica Inverno è una donna che affacciata alla finestra osserva una notte gelida e spettrale in cui la città appare domata dal ghiaccio. La donna si sente confortata dal tepore domestico mentre guarda all’effetto, descritto come “rovinoso”, dell’inverno sulle strade. L’inverno che la donna osserva, da spettatrice esterna, riflette in lei una furiosa inquietudine: la gioia, i capelli selvaggi, l’occhio dilatato. Lontano un uomo si avventura con cautela su un lago ghiacciato, che minaccia di cedere da un momento all’altro sotto il suo peso, facendosi guidare da una lampada storta. La poesia di Saba si basa su parole dalla forte carica espressiva che riflettono il contrasto tra l’interno e l’esterno, tra la protezione intima della casa e il pericolo rappresentato dal mondo fuori che si fa emblema e rappresentazione di un’apocalissi imminente.
Precoce inverno di Eugenio Montale
Fra il tonfo dei marroni
e il gemito del torrente
che uniscono i loro suoni
èsita il cuore.
Precoce inverno che borea
abbrividisce. M’affaccio
sul ciglio che scioglie l’albore
del giorno nel ghiaccio.
Marmi, rameggi
E ad uno scrollo giù
foglie a èlice, a freccia,
nel fossato.
Passa l’ultima greggia,
nella nebbia
del suo fiato.
Questa lirica di Eugenio Montale è anche conosciuta con il titolo I bagni di Lucca ed è contenuta nella raccolta Le occasioni (1939). Fu scritta nel 1932, mentre il poeta alloggiava nella nota località toscana. Il paesaggio invernale descritto da Montale assume una valenza metafisica: la rigida fissità del ghiaccio diventa rappresentazione della morte. Servendosi dello scenario invernale Montale raffigura il dramma della vita, ovvero il destino mortale dell’uomo.
Nel finale viene rappresentato il gregge (in perfetta rima interna con rameggi, Ndr) che pare trascolorare, svanire lentamente, nella nebbia del suo fiato - forse il poeta voleva rappresentare l’atto della transumanza, eppure sembra dire altro. Il lento abbandono della natura - le castagne che cadono dagli alberi con un tonfo, il gemito soffocato del torrente - riflettono il momento del trapasso. L’inverno narrato da Eugenio Montale ci restituisce il senso del tempo e del declino. L’atmosfera è permeata da un senso di sospensione che traduce i rintocchi e le “intermittenze” del cuore.
L’inverno precoce di Montale è come un quadro impressionista: carico di simboli dal valore metamorfico.
I poeti italiani hanno dunque narrato l’inverno nella sua accezione più profonda, facendone un ritratto carico di inquietudine capace di riflettere l’intima riflessione sul tempo e sul destino umano. La lunga stagione invernale con i suoi geli, i suoi silenzi e i suoi attimi di sospensione diventa quindi rappresentazione del mistero supremo, inconoscibile, nella cui fitta nebbia gli occhi dell’uomo non possono in alcun modo scrutare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’inverno raccontato dai poeti italiani: Pascoli, Ungaretti, Saba e Montale
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