L’alfabeto ebraico è una lingua a sé, intrisa di storia, filosofia, religione; è una lingua sacra, quasi metafisica, con cui è stato scritto l’Antico Testamento. Lo sapeva bene Isaac B. Singer, figlio di un rabbino, che scriveva in yiddish dando così forma e rappresentazione alla propria cultura ebraica. Dopo la Shoah, il terribile flagello che portò alla“ fine di un mondo”, lo yiddish era diventato un linguaggio di ombre, di fantasmi, “l’idioma dello smarrimento”, la lingua di tutti gli uomini che si trovavano “fuori luogo”, diventava così perfetta espressione della precarietà del destino umano.
Nelle pagine finali del suo romanzo capolavoro, intitolato Ombre sullo Hudson, l’autore scriveva:
La Torah è l’unico insegnamento efficace che abbiamo su come imbrigliare la belva umana.
Oggi Isaac B. Singer è considerato uno dei maggiori scrittori del nostro Novecento, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1978 con la seguente motivazione:
Per la sua veemente arte narrativa che, radicata nella tradizione culturale ebraico-polacca, fa rivivere la condizione umana universale.
Nell’uso dello yiddish troviamo la cifra stilistica caratterizzante della narrativa di Singer che mette in scena al contempo commedia e tragedia, dubbio e fede. I capolavori di Isaac B. Singer di recente sono stati pubblicati da Adelphi con la curatela di Elisabetta Zevi che ha curato anche alcuni romanzi inediti, quali Il ciarlatano e Keyla. La Rossa. L’ultimo, in ordine di apparizione, è Max e Flora, salutato dalla critica come un capolavoro ritrovato; una sorta di gangster novel ambientata nella Varsavia malavitosa dei primi del Novecento, dal finale amaro.
Non possiamo, tuttavia, ridurre la narrativa di Singer a un genere unico: la sua scrittura è poliedrica come la sua mente e come il suo linguaggio, intensa e sfaccettata come la pluralità di significati insiti nell’alfabeto ebraico. Nella sua produzione letteraria troviamo anche molti libri per bambini; perché i bambini, sosteneva Salinger, sono gli unici ad avere accesso a “un mondo fantastico”. Lo stesso mondo immaginifico, diremmo noi, in cui lo scrittore riusciva a entrare attraverso il potere apotropaico delle lettere dell’alfabeto, a partire dal simbolismo dell’Aleph - la prima lettera dell’alfabeto ebraico - che rappresenta il motore stesso della creazione, infatti le sillabe “ab” אב: alef, “bet”, unite insieme significano “padre”.
Scopriamo più approfonditamente la vita e le opere di Isaac B. Singer, lo scrittore che scriveva in yiddish, che fu un po’ mago, un po’ “ciarlatano” - come Hertz Minsker, il protagonista del suo celebre romanzo, apparso per la prima volta a puntate sul Forverts, il quotidiano yiddish di New York nel 1967 - e anche un po’ Dio, poiché aveva sempre creduto nella “redenzione dell’uomo”.
Isaac B. Singer: la vita
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Isaac Bashevis Singer nacque nel novembre 1904 in un quartiere ebraico di Varsavia, presto cancellato dalla guerra. Da quel mondo scomparso Singer trasse sempre l’ispirazione viva delle proprie opere, intrise di cultura ebraica e di tradizioni secolari. Il padre, Pinchos Menachem, era un rabbino e per tutta l’infanzia Isaac studiò testi in ebraico, in aramaico e il Talmud. Oltre ai testi sacri leggeva avidamente anche le opere di Gogol, Dostoevskij e Spinoza, autori che l’avrebbe influenzato accompagnandolo per tutta la vita.
Iniziò a scrivere racconti in lingua yiddish a soli sedici anni, seguendo una tradizione di famiglia; anche la sorella Esther scriveva storie e il fratello maggiore, Israel Joshua Singer, sarebbe diventato anche lui scrittore.
Inizialmente Isaac si guadagnò da vivere insegnando alla scuola ebraica, oppure lavorando come redattore e correttore di bozze per alcune riviste. Negli anni Trenta fu condirettore della rivista Globus, sulla quale pubblicò vari racconti a puntate. Sempre sulle pagine della rivista nel 1933 iniziò a pubblicare quello che sarebbe diventato il suo primo romanzo, Satana a Goray, che traeva ispirazione da una leggenda yiddish di epoca medievale, la storia del falso messia Sabbatai Zevi.
Su quel tema originario Singer sarebbero ritornato spesso nei suoi scritti, elaborandolo e sviluppandolo in vari modi, concentrandosi anche sui fenomeni di isteria di massa che andavano di pari passo con questi fenomeni, ma soprattutto giungendo a un’unica disincantata conclusione, ovvero la perdita delle illusioni umane.
La fuga in America di Isaac B. Singer
Un paio di anni dopo, dinnanzi alla crescente minaccia nazista, Singer si trasferì a New York assieme al fratello Joshua, lasciando la moglie e il figlio Israel che invece andarono a Mosca, e iniziò a lavorare come corrispondente estero per il Jewish Daily Forward.
In America si ricostruì una vita, si risposò con l’immigrata ebrea tedesca Alma Haimann, ottenne la cittadinanza americana. Le sue opere iniziarono a essere tradotte in inglese. A guerra conclusa pubblicò il primo romanzo che gli diede un successo internazionale, La famiglia Moskat (1950), una grande cronaca familiare ispirata ai Buddenbrook di Thomas Mann. I personaggi di Singer, a differenza di quelli di Mann, sono preda dei capricci e degli scherzi del destino, ma anche delle proprie passioni spesso incontrollabili come il richiamo della lussuria o l’accecamento dovuto al potere.
I libri più celebri di Isaac B. Singer
In uno dei suoi romanzi più celebri, Il ciarlatano, narra la vita di Hertz Minsker, un uomo polacco che si trasferisce negli Stati Uniti fuggendo dall’Europa in guerra. Minsker è molto intelligente - o forse è meglio dire, “scaltro” - e riesce a campare sulle spalle degli altri - ha infatti amici molto ricchi - senza dover lavorare. Un personaggio singolare, perennemente sospeso tra un’aspirazione al trascendente e le ineludibili pulsioni terrene, solo in apparenza inconcludente.
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La figura dell’ebreo polacco espatriato in America è una costante nei romanzi di Singer, ritornerà infatti anche in Nemici. Una storia d’amore e nel capolavoro Ombre sullo Hudson che pongono sempre al centro un uomo intelligente e disilluso e le sue poliedriche (e clandestine) relazioni amorose. In Ombre sullo Hudson il protagonista è il seducente Hertz Grein, un uomo tormentato e scisso tra desideri contrastanti, consapevole - in quanto ebreo - di non poter sfuggire a Dio e al suo giudizio che ha fortemente interiorizzato tramite lo studio delle Sacre Scritture. Attorno a lui si muove una folla curiosa di ebrei espatriati, tutti a loro modo smarriti, preda di vane speranze ed illusioni destinate a infrangersi. Il tema della colpa e della vergogna ritorna in tutti gli scritti di Isaac Singer, in cui scorre sempre sottotraccia qualcosa di proibito, una tentazione continua che raramente incontra il vero pentimento.
Lo scrittore naturalizzato statunitense scrisse sempre in yiddish, la lingua dell’esilio, che conservava il sapore leggendario delle fiabe e degli aneddoti tramandati per centinaia di anni dalla gente semplice che aveva vissuto sacrificandosi, nella povertà e nella diffidenza, condannata a un’eterna diaspora. Lo yiddish conferisce alla scrittura di Isaac B. Salinger il sapore di un’eterna nostalgia che forse un poco si perde nelle traduzioni. Lui stesso fu uno strenuo difensore di quella lingua fantasmatica, di cui sottolineò il valore in numerosi saggi:
Lo yiddish è la saggia e umile lingua di noi tutti, l’idioma di un’umanità spaventata e piena di speranza.
La scrittura fantasmatica di Isaac B. Singer: un gioco d’ombre
In America ebbe successo soprattutto come scrittore di racconti e storie brevi, spesso pubblicate dapprima a puntate su rivista, ma non v’è dubbio che sia nella forma romanzo che Isaac B. Singer dia il suo meglio. Lo chiamavano spesso “Il mago”, lo stesso nomignolo con cui curiosamente Thomas Mann firmava la sua corrispondenza privata. La sua assistente personale, la ventenne Dvorah Telushkin, lo seguì negli ultimi anni della sua vita dedicandogli infine un libro dal titolo Master of Dreams (1997), letteralmente “maestro di sogni”.
Singer morì il 24 luglio 1991, all’età di 87 anni, ormai consumato dal morbo di Alzheimer che aveva divorato la sua mente. Una curiosa beffa del destino, proprio lui che aveva dedicato la vita - e la scrittura - al ricordo di un mondo scomparso ora assisteva al lento disfacimento della propria memoria. Fu lui stesso a dire:
“Mi è sempre piaciuto scrivere storie di fantasmi”
La sua stessa lingua, lo yiddish, era fantasmatica: l’alfabeto dei sogni di un popolo scomparso. Forse tutta la letteratura è, in fondo, una storia di fantasmi, le parole custodite nei libri sono come figure evanescenti evocate sulla superficie di una lanterna magica: un gioco di ombre, un susseguirsi di sogni destinati a svanire con l’aurora. Il compito di uno scrittore, diceva Singer, è quello di “cercare verità eterne”; eppure non è detto che sia destinato a trovarle. Sosteneva che la missione degli scrittori fosse stimolare la mente, ma non avessero il potere effettivo di cambiare nulla.
Isaac B. Singer si spense nella sua casa in Florida, non è detto tuttavia che se ne sia andato per sempre, del resto, come dichiarò in un’intervista, lui credeva nella reincarnazione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Isaac B. Singer, lo scrittore premio Nobel che scriveva in yiddish
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