Johnny Mad Dog di Emmanuel Dongala

Forte come un pugno nello stomaco, sconvolgente e doloroso Johnny Mad Dog pubblicato nel 2002, premiato come uno dei migliori libri dell’anno dal Los Angeles Times, ci immerge nell’universo straziante dei bambini soldato, fenomeno ancora oggi attualissimo.

Nel 1997 scoppia la guerra in Congo: in questa tragedia, un’ulteriore tragedia si inserisce, quella dei bambini soldato: rapiti, obbligati a unirsi ai gruppi armati, forzati ad azioni violente e irreparabili anche nei confronti dei propri famigliari, diventano totalmente dipendenti dal proprio capobanda.

In un pericoloso miscuglio di superstizioni e leggende arcaiche, imbevuti di miti occidentali, immagini hollywoodiane e informazioni falsate, senza più i valori della cultura tradizionale, ubriacati di cattivo alcol e di droghe pesanti, questi gruppi giocano alla guerra, si aggirano per i villaggi tutto travolgendo nella loro avanzata di morte.
Ubbidiscono a un capo che ritengono protetto da spiriti feticci, a sua volta facilmente manovrato dai veri padroni della guerra, che lanciano questi sprovveduti ed ingenui adolescenti, accecati dal loro delirio di onnipotenza, proprio dove il disagio e il terrore della gente deve essere bloccato con azioni violente.

Due sono i protagonisti ed attraverso i loro occhi vengono scandite le fasi di questa guerra: Laokolé, ragazzina sedicenne con progetti e speranze per il futuro, e Johnny Mad Dog, giovane adolescente il cui nomignolo dà il titolo al libro, della stessa età dell’altra, che tuttavia vive esclusivamente nel presente, negli atti e nelle violenze che compie, quasi queste violenze potessero riscattarlo da una esistenza fino ad allora priva di qualsiasi futuro.

Scappando dai villaggi saccheggiati, dopo un disastroso tentativo di trovare riparo nelle ambasciate straniere con la speranza di aiuto da parte della ONG e dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, Laokolé deve arrendersi alla realtà: nessuno potrà aiutarla, solamente lei stessa dovrà trovare la forza di farlo e mentre ancora la vediamo in fuga, ecco che incappa nel ragazzo.
E’ una sorta di resa dei conti di due modi diversi di porsi davanti alla vita ed alle disperate atrocità della guerra: Johnny cerca di intimidire questa ragazza neanche tanto appetibile, sciorina tutti i suoi numeri, le spiega l’arte della razzia:

"Il momento migliore per sorprendere il nemico è il mattino all’ora del risveglio, quando uomini e animali sono meno all’erta... al canto del gallo, si piomba sulle case all’improvviso, si lanciano granate, si sfondano le porte, si fanno saltar giù dai letti le donne nude senza lasciar loro il tempo di coprirsi... la razzia è proprio la ragione principale per cui combattere. Per arricchirci. Per far strisciare un adulto. Per avere tutte le ragazze che volevamo. Per il senso di potere che può darti solo un fucile. Per essere padroni del mondo. Per tutte queste cose, sì. Ma i nostri capi e il nostro presidente ci hanno vietato di dirlo. Ci hanno ordinato di dire a chiunque ci ponga delle domande che combattiamo per la libertà e la democrazia, e questo per attirarci le simpatie del mondo esterno".

Laokolé non gli risponde neppure e continua immobile a fissarlo. E alla domanda urlata di Johnny, "Ma per chi mi prendi?", lei risponde: "Per un assassino".
Johnny non capisce: "Non sono un assassino", risponde, "Faccio la guerra. Si uccide, si incendia e si violentano le donne. E’ normale. La guerra è così, dare la morte è naturale, ma non vuol dire che sono un assassino".
Laokolé, una persona profondamente immersa in sentimenti di altruismo e di bontà, riuscirà a salvarsi ma dovrà farlo con lo stesso linguaggio del suo assalitore, con un gesto violento: a riprova che dall’orrore non si è mai immuni.

Emmanuel Dongala, giovane chimico di padre congolese e madre centroafricana, vive oggi negli Stati Uniti.

Da questo libro è stato tratto un film per la regia di Jean-Stéphane Sauvaire che, dopo aver letto il libro, decise di trasporto in un film dall’impatto sconvolgente.