L’abbandono
- Autore: Valentina Durante
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2024
Pubblicato il 3 aprile 2024 da La nave di Teseo, L’abbandono - terza prova narrativa di Valentina Durante - ci consegna una storia ruvida dalla scrittura cristallina, affilata come un bisturi, quella di una donna che non trova il coraggio di tagliare i ponti con la famiglia, in ostaggio di un vincolo psicologico che le blocca la vita. Anche gli incubi notturni la intrappolano in una prigione dalle sbarre visibili a lei sola, priva dei colori onirici di tanti sogni a tema. I pensieri si avvitano sul fratello Stefano, divenuto professionista di successo con cui i rapporti si sono allentati oppure ripercorrono le tappe salienti di una vita fuori-chiave. Alcune sembrano di ordinaria normalità, altre no. Di conseguenza il romanzo parla anche il linguaggio della nostalgia - ferita e struggente - che dei ricordi si nutre.
Anna è una quarantenne in crisi lavorativa tornata a vivere con il padre per necessità. Non conosciamo il nome di lui perché il personaggio è metafora del ruolo famigliare, lo stesso vale per la zia.
Tornare a vivere da adulti nella casa dove si è cresciuti per accudire un genitore anziano comporta un delicato cambio di ruoli e tanta pazienza. Ma quando la volontà di venirsi incontro manca e la disposizione all’ascolto non c’è mai stata, la convivenza si trasforma in una tortura. È quanto accade ad Anna imbottigliata tra obbligo ed emotività. Patologie croniche hanno minato l’autosufficienza del genitore radicalizzando un’indole ipocondriaca e intransigente che chiude il mondo fuori. Li chiamano ‘richiestivi’ i pazienti come lui: capricciosi, incontentabili, colpevolizzanti, capaci di comunicare con chi li accudisce attraverso “la sofferenza” o la crudeltà del silenzio. Mai un momento di leggerezza, la loro quotidianità è molto strutturata e corrosa da attriti banali (freschezza del pane, qualità del formaggio, volume del televisore, dosaggio terapeutico) al mantra paterno del “Non posso stare senza tutto, non puoi lasciarmi senza tutto”. Il che sembra esprimere un profondo bisogno di sicurezza, mascherato dal timore di essere abbandonato da persone e cose. D’altronde è questo il terreno di scontro in una coabitazione forzata e troppi non detti sedimentati negli anni.
Però su questa routine incombono alcuni elementi perturbanti. Perché Anna indossa sempre i guanti? Quali dossier assorbono le energie del padre al punto da fargli trascurare l’amato Gogol? Cosa ha determinato la frattura con il fratello?
Il climax ascendente dei ricordi intrusivi di Anna, a convogliare la zavorra del passato, ricostruisce una rete famigliare smagliata dal lutto, silenzio, ambiguità e da eventi così estremi che un nome non ce l’hanno. Dare un nome alle cose significa farle esistere o c’è dell’altro? Ecco a riguardo il pensiero dell’autrice, copywriter freelance e docente di scrittura:
《È incredibile, penso, come sia sufficiente un solo nome per creare il mondo di cui facciamo esperienza, e quanto basti la sua assenza a negarcelo. La nominazione è un atto violento e delicato insieme, una soglia che confonde preda e cacciatore, che si diverte a scombinare i piani e le carte.》
Ad affacciarsi prepotenti sono i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza: a crescerli è stata la zia che ha fatto del sacrificio il suo vessillo. Allora per compiacere Stefano, per ottenere la sua approvazione si sarebbe buttata nel fuoco e forse lo ha fatto. Il loro era un legame speciale che a distanza di tempo la protagonista rievoca con queste parole:
《Se oggi penso a ciò che io e mio fratello eravamo l’uno per l’altra, mi viene in mente questa immagine: due scalatori sorpresi dalla bufera che, trovato riparo sotto un costone di roccia, si stringono come meglio possono per non morire assiderati. Sapevo bene che, per il tipo di geografia dell’affetto impostaci da nostro padre, il mio era il posto più riparato e che era il corpo di mio fratello quello più esposto.》
Chissà se un incontro di riconciliazione con il fratello darà i frutti sperati. Ma cosa vuole Anna davvero?
L’abbandono di Valentina Durante viaggia a tre velocità.
C’è una quotidianità che la dilatazione temporale fa scorrere a ralenti. Perciò il peso di secondi, minuti, mezz’ore, ore lo sentiamo in tutta la sua concretezza. Pensiamo alla scena d’apertura. La minuzia con cui vengono descritti i passaggi per lessare un pugno di verdure è irritante, quanto il clima da caos calmo che si respira. E tradisce la fatica psicologica di chi, come Anna, è spinta all’accudimento dall’obbligo di figlia.
C’è il tempo interno dei ricordi infestanti a braccare la protagonista, quanto il pensiero del padre braccava il fratello. Sono così vividi che vengono riportati al presente, il tempo del qui e adesso. Affiorano e sprofondano come colpi di ghigliottina. Che poi ’Guillotin" (ghigliottina) è anche il soprannome del padre: siete curiosi di conoscerne il motivo?
Se quello della quotidianità è di una lentezza esasperante, il tempo interno del ricordo sembra fermo in un eterno presente.
Infine c’è il non tempo della morte, cristallizzata nel disfacimento di un corpo inerte che smette di funzionare.
Al netto di una trama avvincente, scomoda, coraggiosa, il valore aggiunto del romanzo risiede nella padronanza del mezzo espressivo. I predicati sono essenziali a segnare un pensiero o un’azione senza colorirli. Valentina Durante incide la pagina con una prosa nitida e distaccata - dosata l’aggettivazione, rari gli avverbi, strategici i dati cromatici -, per scoperchiare il nostro vaso di Pandora, quello che non vorremmo vedere. Infatti la sua penna si avventura negli anfratti più bui dell’animo umano e nelle strettoie della coscienza dove la morale si sottrae a vergogna, senso di colpa e giudizio. Una lettura magnetica.
L'abbandono
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Un libro perfetto per...
Agli amanti della prosa psicologica e storie famigliari contorte presentate senza morbosità
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’abbandono
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