L’albero dei giannizzeri di Jason Goodwin

L’eunuco di corte Yashim deve indagare su una serie di omicidi che si verificano nella caotica Istanbul del 1836. Sembra che siano coinvolti i giannizzeri, la mano armata dell’impero che il sultano ha distrutto dieci anni prima perché era degenerata in un potere parallelo che seminava terrore e morte: taglieggiavano il popolo, appiccavano incendi (mentre in realtà erano incaricati di spegnerli, visto il pericolo che una città di legno correva alla minima fiammella), uccidevano... e la protezione dell’impero lasciava a desiderare. Per questo la popolazione aveva esultato, dieci anni prima, quando il sultano li aveva fatti fuori. Sembra, però, che ci siano ancora dei nostalgici...

Al di là del mistero da risolvere, comunque, l’atmosfera del romanzo tiene grazie ai numerosi personaggi secondari: ognuno di essi è lo spunto per parlarci della Istanbul ottocentesca, dei suoi bazar, dei rapporti internazionali, dell’impero gigantesco i cui piedi cominciano ad esser troppo piccoli. In queste pagine assistiamo alle invidie e ai pettegolezzi tra eunuchi e ancelle dell’harem; ridimensioniamo il ruolo del sultano, cedevole ai suoi vizi alcolici e all’oscuro delle macchinazioni di palazzo; osserviamo da vicino le tensioni che correvano tra gli ottomani e i diplomatici dei paesi stranieri; impariamo come funzionavano le corporazioni dell’epoca e chi erano le ballerine-uomo Kocek. Il tutto affiatandoci ad un giallo.
Sullo sfondo c’è l’eterna lotta tra innovazione e tradizione, la

grandiosa battaglia che infuriava da sempre, la battaglia tra vecchio e nuovo, reazione e rinnovamento, memoria e speranza.

Una critica: il protagonista, l’eunuco Yashim, sembra un po’ troppo moderno e poco religioso; inoltre la sua avvenuta con la moglie dell’ambasciatore russo mi sembra tanto un cedimento commerciale.
Ma questo non inficia la godibilità del romanzo.