Nella notte tra il 3 e il 4 novembre 1966 a seguito di un’eccezionale ondata di maltempo che interessò gran parte della Toscana, Firenze fu sommersa dall’esondazione dell’Arno. Trentacinque le vittime, non dichiarato l’ammontare di feriti e dispersi, danni incalcolabili a uno dei patrimoni artistici più importanti al mondo. La sciagura divenne subito simbolo di solidarietà per la mobilitazione degli Angeli del fango, volontari accorsi in massa per liberare case e monumenti dai detriti. Il fatto offrì al poeta Eugenio Montale lo spunto per una riflessione esistenziale, un ipotetico colloquio con la moglie scomparsa che nell’allegorismo negativo trova la sua voce. Parliamo della poesia in versi liberi a maggioranza endecasillabi intitolata L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili, datata 27 novembre 1966 in coda alla sezione Xenia della raccolta “Satura”.
Analizziamo il testo, proponendo parafrasi e analisi, la raccolta di appartenenza, il gancio autobiografico e il significato simbolico dell’alluvione.
L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili: testo della poesia di Montale
L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili,
delle carte, dei quadri che stipavano
un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto.
Forse hanno ciecamente lottato i marocchini
Rossi, le sterminate dediche di Du Bos,
il timbro a ceralacca con la faccia di Ezra,
il Valèry di Alain, l’originale
dei Canti Orfici – e poi qualche pennello
da barba, mille cianfrusaglie e tutte
le musiche di tuo fratello Silvio.
Dieci, dodici giorni sotto un’atroce morsura
Di nafta e sterco. Certo hanno sofferto
Tanto prima di perdere la loro identità.
Anch’io sono incrostato fino al collo se il mio
Stato civile fu dubbio fin dall’inizio.
Non torba m’ha assediato, ma gli eventi
Di una realtà incredibile e mai creduta.
Di fronte ad essi il mio coraggio fu il primo
Dei tuoi prestiti e forse non l’hai saputo.
L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili: parafrasi
L’alluvione ha sommerso l’insieme di mobili, carte, quadri che riempivano la cantina chiusa a doppia serratura. Forse hanno lottato disperatamente contro l’acqua i libri dalle preziose rilegature, quelli di Du Bos con lunghe dediche, quelli con il timbro a ceralacca con incisa la barba di Ezra Pound, il libro di Alain sui Charmes di Paul Valéry, l’edizione originale dei Canti Orfici e poi qualche pennello da barba, un sacco di cianfrusaglie e gli spartiti di tuo fratello Silvio prematuramente scomparso. Tutte queste cose sono rimaste per dieci dodici giorni sotto l’azione corrosiva di nafta e liquami. Hanno sofferto tanto prima di perdere la loro identità. Anch’io sono incrostato di fango fino al collo dal momento che la mia identità è sempre stata incerta. A circondarmi non è stato il fango ma una realtà assurda alla quale non ho mai creduto. Di fronte ad essa il mio coraggio è stato il più importante dei tuoi doni e forse non lo hai mai saputo.
Satura: la raccolta di poesie in cui è contenuta “L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili”
La poesia L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili fa parte della raccolta “Satura” pubblicata nel 1971 che, come vedremo, ripropone il tema della catastrofe dei valori già nella “Bufera e altro”, il cui titolo però richiama il secondo conflitto e fatti privati altrettanto drammatici.
Comprende 125 testi divisi in quattro sezioni:
- Xenia I e Xenia II, contenenti testi dedicati alla consorte scomparsa nell’ottobre 1963;
- Satura I e Satura II, formate da una miscellanea satirica, polemica, parodistica.
Dall’etimo greco, il termine “xenia” indica i doni inviati a un amico che è stato nostro ospite. Avete letto bene, perché l’abitudine di fare un dono a chi ci ha ospitato è recente e anticamente si faceva il contrario anche se la faccenda in realtà è molto più complessa, come insegnano antropologia e scienze sociali. Rimanendo nel campo letterario “Xenia” è il titolo del XIII libro degli epigrammi di Marziale contenente poesie brevissime per accompagnare i regali che l’autore latino, secondo un costume tipico della civiltà romana, indirizzava ai parenti in occasione delle feste dei Saturnali. Il medesimo titolo venne impiegato da Goethe e Schiller per una raccolta di epigrammi polemici sul mondo letterario. Dalla somma di questi tre modelli – Marziale, Goethe, Schiller - nasce lo spirito dei testi di Montale contenuti nella sezione Xenia I e Xenia II in quanto doni votivi offerti alla moglie e rapide riflessioni sulla volgarità del tempo in cui il poeta ligure si trovò a vivere, quello della massificazione della cultura.
L’etimologia di “Satura” strizza l’occhio al latino “satura lanx” indicante un piatto forte contadinesco tipico della tradizione rurale italica o un piatto di primizie da offrire agli dei, la cui caratteristica è proprio la varietà degli ingredienti. Ciò significa che la raccolta – lo conferma il testo in oggetto -, abbandona l’impronta selettiva per un’inclusiva, eterogenea, dal taglio colloquiale che si ispira a eventi pubblici e privati. Questa svolta della poetica montaliana non fu un’operazione intellettualistica, cerebrale, ma un ripensamento poetico sintonizzato sul nuovo orizzonte culturale della società di massa. È il poeta a cercare una lingua nuova. A riguardo scrisse:
“I primi tre libri sono scritti in frac, gli altri in pigiama o diciamo in abito da passeggio”.
Rimanendo in metafora qual è la stoffa del pigiama? Lessico semplice e comunicativo a sfiorare la prosa con intagli plurilinguistici, tono dimesso, agganci espliciti con il presente perché ora le “occasioni” non sono più celate dall’oscurità del simbolo.
Proprio l’attualità offre il destro per questo componimento scritto a seguito dell’alluvione che nello stesso mese aveva colpito il capoluogo toscano. La distruzione degli oggetti conservati in cantina diventa allegoria del tramonto dei valori umanistici e della crisi identitaria del poeta. Ricordiamo che dal 1927 al 1948 Montale visse a Firenze dove maturò l’interesse per Dante, per il correlativo oggettivo alla Eliot e quella religione della cultura che segna il periodo fiorentino.
“L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili”: analisi e commento
Come molte poesie tratte da “Satura”, anche questa è semplice sul piano letterale, un po’ meno quanto a significato complessivo. Prendiamo per esempio “Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale” contenuta in Xenia II e datata 20 novembre 1967: cosa vedono gli occhi miopi di Mosca, nickname della moglie Drusilla Tanzi? Il suo privilegio è la capacità innata di orientarsi nella vita? La sua saggezza coincide con l’accettazione della nullità dell’esistenza? Gli spunti interpretativi sono tanti. Con un tono dimesso che tocca la prosa, Montale elenca i danni riportati dopo che l’alluvione di Firenze gli ha distrutto quanto aveva depositato – conservato, non abbandonato- in una cantina.
L’enumerazione abbraccia:
- volumi pregiati,
- libri con dediche del critico francese Charles Du Bos (1882-1939),
- altri con il sigillo del poeta americano Ezra Pound (1885-1972),
- un saggio critico su Paul Valéry,
- la prima edizione dei “Canti Orfici” di Dino Campana, quella stampata in pochi esemplari nel 1914 a spese del visionario di Marradi,
a sintetizzare la presenza ermetica, orfica, simbolista (Pound, Campana, Valéry) degli anni Trenta marcata dall’umanizzazione degli oggetti. Gli spartiti musicali del cognato compositore, che non conobbe la fama, rimandano invece alla vanità del nostro destino.
In chiusura entra in gioco la funzione salvifica della moglie da cui Montale avrebbe mutuato il coraggio di prendere atto della mancanza di senso della storia. È stata la concretezza di Mosca ad insegnargli a sopravvivere in un presente divenuto terra straniera. Sul nichilismo dell’ultimo Montale che caratterizza il testo, il Luperini osserva:
“In particolare si denuncia la catastrofe che ha portato la distruzione dei valori degli anni Trenta. Il riferimento è all’ideologia umanistica, cioè alla convinzione tipica degli intellettuali non fascisti durante il regime di poter affermare la propria identità e difendere il significato della cultura attraverso l’isolamento e la conservazione dei valori della civiltà e della poesia: la cantina rappresenta la cittadella delle lettere con i suoi fragili miti. Montale non intende difendere i valori del passato che riconosce come anacronistici ma solo constatarne la fine e con essi ogni possibilità di valore.”
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