L’età dei Severi. Una dinastia a Roma tra II e III secolo
- Autore: Alessandro Galimberti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2023
In questo volume a cura del professor Alessandro Galimberti, L’età dei Severi (Carocci, 2023), troviamo un’interessante analisi storica della dinastia dei Severi, imperatori romani nel II-III secolo dopo Cristo.
Secondo la classica impostazione della storiografia moderna, l’avvento di Commodo (180 D.C.) avrebbe segnato la fine del periodo più felice dell’Impero Romano, vale a dire l’età degli Antonini (96 – 180 D.C.) e avrebbe avviato quel declino che avrebbe portato nel 476 D.C. alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
In base a questa prospettiva, l’età dei Severi (193 – 235 D.C.) avrebbe rappresentato la prima manifestazione di quei tratti caratteristici dell’impero tardoantico, soprattutto per quanto riguarda la gestione autoritaria del potere sorretta dall’esercito, la cosiddetta monarchia militare, al quale gl’imperatori avrebbero garantito prima di tutto un incremento della paga nonché diversi privilegi.
È fuori di dubbio che la “monarchia militare” inaugurata Severi sia statoun modello molto utile per precisare meglio i contorni dell’epoca, dopotutto Settimio severo salì al potere nel 193 sconfiggendo in battaglia gli altri pretendenti al trono e attraverso le sue conquiste militari l’Impero Romano avrebbe raggiunto la sua massima estensione.
Tuttavia, definire l’età Severiana come un periodo di passaggio è alquanto limitativo, c’è il rischio di non comprendere appieno la carica innovativa che in realtà si manifestò nel quarantennio inaugurato dall’ascesa Settimo Severo (193-211 D.C.). Oltre all’espansione territoriale, vanno anche sottolineati altri aspetti che rinnovarono profondamente il Principato.
Innanzitutto, non bisogna dimenticare l’origine dinastia africana. Settimio era originario Leptis Magna (Libia), mentre sua moglie Giulia Domna discendeva di una nobile famiglia di Emesa (Siria) e, come era prevedibile, Settimio favorì l’ascesa politica di elementi africani. Si trattò, tuttavia, di un evento che deve essere inquadrato nel più generale fenomeno, già in crescita lungo tutto il secondo secolo, dell’ascesa dei provinciali a Roma, che segnò con i Severi la fine della preminenza politica ma soprattutto ideologica dell’Italia rispetto alle province.
Inoltre, con l’affermazione di Severo e della dinastia severiana si diffusero anche nuove concezioni religiose e il panorama culturale religioso divenne quanto mai variegato, manifestando i segni delle profonde trasformazioni in atto. Nuovi culti orientali si affiancarono alla religione tradizionale, che mantenne intatto tutto il suo apparato, manifestando il suo culmine nella celebrazione dei ludi secolari del 204 D.C. Tuttavia, i caratteri della religione nazionale si contaminarono con questi nuovi culti, generando notevoli fenomeni di sincretismo che accentuarono la natura cosmopolita dalla società romana e la aprirono ancor di più ai rapporti con le altre culture presenti nell’Impero.
Alla luce di tutto ciò si può comprendere l’importanza della costituzione antoniniana, promulgata da Caracalla (211- 218 D.C.), che diede vita a un ordine universale unificato da Roma secondo un coerente disegno politico, giuridico e religioso.
La concessione della civitas a quasi tutti gli abitanti del territorio dell’impero pose fine alla posizione privilegiata dell’Italia rispetto alle altre province e ciò rappresentò una svolta decisiva nello sviluppo della storia imperiale. Poco più di un cinquantennio dopo, infatti, Diocleziano avrebbe varato un nuovo sistema amministrativo e l’Italia sarebbe diventata una delle dodici diocesi dell’impero.
Un ecumenismo che permette di comprendere il crescente successo del cristianesimo durante l’età Severiana, una religione ancora illecita, che non fu oggetto di persecuzione generale anzi beneficiò di una tolleranza di fatto. In ambito culturale non va poi dimenticato che l’età Severiana vide in Oriente l’affermazione della seconda sofistica ma anche della filosofia, della medicina, della storiografia, dell’apologetica cristiana e della giurisprudenza.
Insomma, una vitalità culturale derivante sicuramente da condizioni di vita tutt’altro che precarie. Una vitalità che trovò riscontro nei grandi monumenti architettonici dell’epoca. Basti pensare alle terme di Caracalla oppure alla basilica di Leptis Magna, insieme ad interventi promossi da élite locali nelle province.
A Roma, Settimio Severo intervenne su gran parte del centro urbano con nuove costruzioni, come l’arco di Settimio Severo, e restauri tanto da essere celebrato come restitotur Urbis.
Va poi aggiunto l’importante ruolo delle donne dell’epoca severiana: Giulia Domna, Giulia Mesa, Giulia Soemiade e Giulia Mamea, le quali appartenevano alla più illustre aristocrazia di Emesa, discendenti da una famiglia sacerdotale molto importante, che quali stabilirono un ruolo molto importante con gli eserciti che le gratificarono a più riprese di titolo onorifici.
Per tutti questi elementi l’autore del libro, Alessandro Galimberti, è convinto che sia difficile parlare di crisi dell’impero sotto i Severi, come sostenuto dagli storici, anche se una tale critica può trovare più di una spiegazione.
L’origine non italica di Alessandro Severo e discendenti colpì sicuramente il Senato, espressione del mondo romano-italico, che non poté non constatare come i Severi ricorressero a una certa violenza nell’affrontare i nodi politici e militari, come anche la tolleranza di fatto nei confronti del Cristianesimo, nonché la diffusione dell’astrologia, della magia e di innovative forme artistiche.
Insomma, si trattò di un interessante esperimento di evoluzione dell’Impero Romano che non andò oltre il regno di Alessandro Severo (222-235 D.C.).
Infatti, secondo l’autore, ciò che venne dopo sul piano politico-militare ma non era più in alcun modo collegabile alla dinastia severiana bensì ad affermazioni personali estranee al mondo siro africano.
Paradossalmente Alessandro Severo, che rispetto ai suoi predecessori aveva saputo ricostruire un buon rapporto con il Senato, incarnando il ruolo del princeps, non riuscì, invece, a combinare questo ruolo con quello di imperator, il comandante militare, cadendo vittima proprio dei suoi stessi soldati.
E probabilmente, la damnatio memoriae di cui è stata oggetto la dinastia dei Severi in realtà è dovuta proprio al non facile rapporto che questa ebbe con la classe senatoria, che cominciava a vedersi esclusa dai comandi militari e dell’amministrazione provinciale dell’impero.
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