L’illettore
- Autore: Hermann Burger
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2017
“Cara Signora e sovrana di Blankenburg, Amica del cuore, eccelsa Lettora, La ringrazio anzitutto per l’indefessa lettura, chi meglio di me, affetto da illessia…”
Così inizia la prima delle sette lunghe lettere pseudo-autobiografiche (il sottotitolo del romanzo suona “una confessione”) che il protagonista scrive a una coltissima e illuminata Principessa, cultrice delle Arti e della Letteratura, raccontandosi e raccontandole del proprio esistere fuori dal mondo, ossessionato da fantasmi mentali e paure, idiosincrasie ed esaltazioni improvvise ma, soprattutto, straziato da una misteriosa malattia, il “morbus lexis” (una sorta di catatonia cerebrale, derivata dall’infiammazione delle “terminazioni nervose pre-sinaptiche”) che gli impedisce di leggere, o anche solo di avvicinarsi fisicamente alla carta stampata.
“L’Illettore” - che si definisce Accantato, morto vivente, catalettico - vive recluso in uno scantinato (catapecchia, tubo, cappella fredda, cisterna, arca) senza rapporti con il prossimo, fatta eccezione per la stizzosa “serva druda” che tre volte la settimana gli riordina il bugigattolo, ragguagliandolo un poco sulle novità esterne. Dal suo buco infossato nel buco imperviamente e nebbiosamente naturale di Schruns-Grächen in Austrizzera, l’uomo scontento di sé comunica epistolarmente con Donna von Fürstenfeld (Lettora suprema, Signora benigna, musa degli intarsi variopinti, bibliofila contessa, regina delle mille e una veste, Governatora, onnivora liseuse, nobile Corsiva gotica), la quale vive in uno sfarzoso castello incastonato all’interno di un ancora più sfarzoso parco a Blankenburg, servita e riverita dal domestico Loontien e dal segretario Arpagaus.
In tono sarcasticamente reverenziale e beffardamente rispettoso, l’Illettore illustra alla sua amica di penna la propria esistenza amorfa e sprecata di recluso, in passato gran divoratore di libri al punto da diventare egli stesso una lettera dell’alfabeto
“ho assorbito così in profondità queste pietre preziose dell’umano spirito che nessuno le potrebbe estirpare dalle mie viscere e dalle mie ghiandole”
e, all’invito di lei a trasferirsi nel suo castello come esperto bibliotecario, confessa orgogliosamente di sapersi accontentare di una conversazione epistolare “elisia e sferica e serafica ed eolica”.
Il turbinoso e caleidoscopico monologo del protagonista si nutre di citazioni letterarie soprattutto di area germanica, con rapsodiche incursioni tra gli scrittori russi ma anche di considerazioni sui mala tempora politici e sociali e di descrizioni paesaggistiche dei panorami montuosi della Svizzera interna, supportate da un’approfondita conoscenza delle scienze naturali (geologiche, stratigrafiche, morfologiche, iconologiche). Le sue divagazioni narrative si avvolgono a spirale, in una scrittura fagocitante, alimentata da se stessa, che esibisce uno sfoggio di erudizione sottilmente compiaciuto e ironico nell’affrontare gli argomenti e le discipline più varie: dall’architettura alla neurobiologia, dalla linguistica all’erboristeria, e disserta sul fumo, sulla posta, sui costumi popolari, per tornare sempre al tema principe, la letteratura. L’amore per il libro, inteso anche come oggetto di culto e da collezione, sovrasta ogni altra passione: l’Illettore, privato a causa del suo “morbus lexis” di qualsiasi interesse per la concretezza della quotidianità, vive di memorie librarie, e forse proprio grazie ad esse, in conclusione del volume, riuscirà a ritrovare la salute e la capacità di uscire dalla sua tana:
“Mi darò da fare, voglio provarci”.
L’autore di questo “testo multiforme” (come lo definisce l’attenta traduttrice Anna Ruchat), pubblicato nel 1986 e per la prima volta in Italia adesso, dalle edizioni romane de L’Orma, è uno dei più importanti e originali scrittori svizzeri, Hermann Burger (1942-1989), che qui ha inteso sperimentare non solo una tecnica narrativa provocatoriamente dissacrante, ricca di citazioni, neologismi, excursus eruditi, didascalismi, cacofonie verbali ma anche e soprattutto ha voluto offrire ai lettori il documento di uno stato paralizzante di depressione clinica, descritta nel breve saggio conclusivo, di cui egli stesso ebbe a soffrire per anni, e che lo portò a suicidarsi, proprio come uno dei poeti più citati in queste pagine, Paul Celan, che in un suo verso incoraggiava inutilmente se stesso a vivere:
“Smetti di leggere: guarda!”
Libri che salvano, libri che annientano. Hermann Burger (l’illettore) scriveva con severità:
“in letteratura le cose non vanno diversamente che nella vita, ovunque ci si giri, si incontra subito l’incorreggibile plebaglia dell’umanità, onnipresente a legioni, e tale folla innumerevole lorda ogni cosa, come le mosche d’estate; di qui il numero mostruoso di cattivi libri buoni o di buoni libri cattivi, nessuno dei quali, nel giro di dieci anni, sarà sopravvissuto”.
Eppure, una scrittura meritevole come quella di Burger continua a vivere e a interessarci, sopravvivendo ad ogni depressione, mentale e culturale.
L'illettore. Una confessione
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