L’ingrediente perduto
- Autore: Stefania Aphel Barzini
- Casa editrice: Sonzogno
- Anno di pubblicazione: 2009
L’ingrediente perduto di Stefania Aphel Barzini racconta la storia di quattro donne (Rosalia, Connie, Sandy, Sarah) e quattro generazioni.
Rosalia, siciliana, arriva in America all’inizio del ‘900 all’età di dieci anni con la giovane zia in cerca di lavoro e un po’ di fortuna. Viveva a Stromboli, fra gli odori aspri dell’isola e il profumo del mare, in una piccola casa con il gabinetto di fuori, il padre pescatore e tante bocche da sfamare. L’isola, come la chiama Rosalia, poteva essere un luogo maledetto:
la natura così selvaggia, così imbarazzante, era brutale ed eccessiva. Erano violenti i terremoti che distruggevano le case e Iddu ( il vulcano) poteva uccidere uomini e donne. Crudele il caldo e il freddo. Nei giorni da lupi in cui Iddu mugghiava gli isolani sussurravano perché al vulcano bisogna portare rispetto.
Si emigrava in America, nel paese delle opportunità. Sull’isola troppa fame, miseria e morte; ne era convinta Tindara, zia di Rosalia, giovane merlettaia. Rosalia avrebbe avuto un futuro diverso e poi le americane sarebbero impazzite per i suoi merletti! Il viaggio per l’America è fatto nelle stive del bastimento: uomini e donne stipati, poveracci partiti con la convinzione di non poter star peggio da ciò che si lasciava. Ad Hoboken Rosalia vivrà nella stanzetta in soffitta cucinando i piatti con i profumi dell’isola che nel quartiere si vendevano bene - ciò che aveva imparato era provvidenziale per racimolare soldi. Poco più che adolescente, alla morte della zia, sposa Chester (Cesare, ma gli americani non riuscivano a pronunciare le tre semplici sillabe), un buon marito e un buon padre per Connie.
Costanza (Connie) si sente americana, fin da piccola vuole esserlo e tutto ciò che la riporta all’Italia è un rifiuto secco: il nome, il colore dei capelli, il cibo della mamma Rosalia. Vuole la scuola migliore di Manhattan, è in continua trasformazione per essere una perfetta ragazza americana, capelli biondi, nessun accento affinché nessuno possa intuire le sue origini di emigrata, ma per quanto si sforzasse con "il suo seno pieno e gli occhi neri come la pece era l’immagine sputata di una siciliana." Il matrimonio di Connie con Sonny sarà un disastro. La sua bella casa all’americana piena di comfort non l’aiuterà a trovare un giusto equilibrio ora che ha lasciato il sobborgo, l’anima stessa, le fondamenta sulle quali si poggiava la vita dei suoi genitori. Non saprà più fare a meno dell’alcool, che diverrà l’unico sostegno alla sua inquietudine ed elemento di rottura con la figlia Sandy.
La generazione di Sandy vuole cambiare il mondo, ma per cambiarlo bastava guardarlo nella maniera giusta. I morti per droga e nella guerra del Vietnam sono una ferita generazionale che non si rimarginerà mai. La voglia di viaggiare, di divertimento e di avere tante esperienze caratterizzano Sandy, che a sedici anni parte per S. Francisco con la sua amica di infanzia Ruth, come tanti giovani che scappavano di casa alla ricerca della propria libertà, in un viaggio in pullman guardando l’America fuori dal finestrino...
I muri delle strade erano tappezzati di bigliettini e fotografi, i genitori di mezza America cercavano i figli…
LDS, amore libero, yoga... è solo una parvenza, perché tutto avrà fine per il ritorno a casa e la scoperta dei propri affetti.
Sarah, l’ultima donna, scoprirà le sue radici, quell’amore innato per il cucinare che la porta a sminuzzare, sbucciare, tritare gli ingredienti. L’ingrediente perduto riaffiora con Sarah e sarà l’elemento che ricongiungerà le quattro donne, separate nella vita, divise nella morte ma insieme sull’Isola.
L’autrice ci descrive il dolore e la sofferenza delle protagoniste nelle loro storie di emigrazione e di integrazione, storie al femminile che ci rendono partecipi della ricerca delle loro identità.
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