L’ultimo Rimen
- Autore: Renato Riva
- Anno di pubblicazione: 2012
“Uomini e lupi in Val di Rhêmes” è il sottotitolo di questo romanzo breve, favola moderna e insieme parabola redatta da uno scrittore appassionato alpinista, con protagonista un animale dal portamento fiero e nobile.
Renato Riva, membro accademico del GISM, Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, ingegnere e manager di successo, immagina il viaggio di un anziano lupo ex capobranco, “affidabile condottiero in terre sicure” proveniente da boschi infiniti dai quali si scorgeva il mare. Il lupo, solo, si era inoltrato attraverso montagne rustiche “per odori che non conosceva”. Seguendo il suo infaticabile istinto attirato da qualcosa che non conosceva, il nuovo, la scoperta e l’altezza, l’animale era giunto “tra le dure rocce dell’ennesimo valico, che non sapeva chiamarsi Entrelor”. L’ex lupo alfa si trovava in avanscoperta perché da sempre alla sua razza spettava il compito di esplorare, cacciare, quindi il lupo doveva indicare al branco, che sarebbe arrivato dopo di lui, un nuovo spazio, una nuova montagna dove vivere, ma soprattutto dove “tenere a distanza il solo nemico mortale, feroce e spietato: l’uomo”. Accovacciato sotto il cippo “che segna il colle, il valico più dolce tra le valli di Rhêmes e Savaranche”, l’animale si riposava aspettando il mattino dopo per cacciare. Ora era tempo di dormire, esattamente dopo che “il disco infuocato” era scomparso dietro le creste delle montagne mentre mille metri più in basso si accendevano le lucine dell’alpeggio. “La notizia del lupo in valle si sparse alla velocità del pensiero”.
L’autore descrive il paesaggio naturale del Parco Nazionale del Gran Paradiso “terra generosa” con forza evocativa, la foresta vive e respira insieme ai suoi tanti animali, camosci, stambecchi, marmotte. Dai rilievi appenninici è arrivato in Val di Rhêmes, spettacolare “paradiso a due anime”, “un nuovo commensale” giacché adesso “i branchi crescevano, prendevano le terre lasciate dall’uomo, i boschi abbandonati, i prati tornati selva”. Come avrebbe reagito l’uomo all’arrivo del lupo “che aveva occupato le zone più selvagge dell’Appennino e ora giungeva alle Alpi”?
L’autore ci ricorda che quest’animale dal fascino un po’ misterioso non è solamente il simbolo della cattiveria, del pericolo, “il capro espiatorio su cui riversiamo le nostre negatività”. Il lupo, secondo le belle parole del guardaparco Giada, è anche il protagonista della favola di Fedro, è la lupa che secondo la leggenda ha allattato Romolo e Remo per non parlare del lupo di “San Francesco che trattato con dolcezza si ammansisce e si accovaccia ai suoi piedi”. L’anima ambientalista di Giada si contrappone al cinismo del guardacaccia Virgilio che considera la caccia al lupo non un gioco di fucile ma d’inganno e di trappola. Da una parte l’uomo rude, invasivo e impulsivo, dall’altra parte l’animale furbo, veloce e razionale. Chi avrebbe vinto tra i due? Se è vero come dice quell’antica espressione latina che “Homo homini lupus” possiamo considerare la narrazione del viaggio dell’ex capobranco come un pretesto per raccontare la condizione umana nella quale il dialogo tra Giada e Virgilio diventa un modo sottile e perspicace per rappresentare due opposte visioni della vita. Non resta altro che auspicare insieme a Giada che “il corso della natura sia il più integro possibile e il nostro intervento il meno invasivo”.
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