L’uomo seme di Violette Ailhaud

Violette Ailhaud nasce e cresce in un villaggio molto piccolo dell’Alta Provenza e nel 1852, ovvero quando ha diciassette anni, tutti gli uomini della sua comunità, ferventi repubblicani e nemici giurati di Luigi Napoleone Bonaparte, vengono arrestati e deportati, o nel peggiore dei casi uccisi. Da quel momento in poi, per ben due anni, nel villaggio non tornerà nessun uomo e tutte le donne della comunità se la dovranno cavare da sole nel lavoro e nella gestione di tutte le incombenze quotidiane. Ciò che più mancherà a Violette e a tutte le donne del villaggio, però, sarà l’amore, la presenza fisica e sensuale degli uomini e a fronte di questo bisogno stringeranno un patto fra di loro: il primo uomo che apparirà all’orizzonte dovranno dividerselo, per poter ridare vita al villaggio.

È questa la vicenda incredibile che racconta Violette, ormai ottantenne, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in un manoscritto di poche decine di pagine dal titolo “L’uomo seme” (Playground, 2014), ma di un’intensità tale da rapire il lettore e farlo calare al cento per cento in un’ambientazione rurale, contadina, che spiega con incredibile efficacia il mistero delle relazioni fra i due sessi.

“Sanguino a ogni luna, troppo dal ventre e ininterrottamente dal cuore. Il dolore genera la mia collera e grido spesso contro il vento che mi restituisce la mia violenza come uno schiaffo assestato al volo.”