Ieri sera l’attrice, regista e commediografa Michela Andreozzi ha intrattenuto il pubblico di Belve, la trasmissione di Francesca Fagnani su Rai 2, con un esilarante monologo sul mondo analogico. In conclusione ha recitato una filastrocca di Gianni Rodari, scopriamo quale.
Dopo aver raccontato le meraviglie di un mondo senza tecnologie, analogico e non digitale appunto, seguendo il nostalgico ritornello Ho fatto in tempo Michela Andreozzi ha optato per una citazione letteraria chiamando in causa il maestro di Omegna, appunto, Gianni Rodari e recitando ad alta voce la Filastrocca corta e matta, la prima poesia da lei imparata sui banchi di scuola.
Il degno finale per un monologo vivace e al contempo malinconico che, come oggi si suol dire, fa ridere ma fa anche riflettere. Era un mondo migliore? Ci troviamo a domandarci alla fine: di certo era un mondo più lento che piegava la fretta all’esigenza dell’attesa, che insegnava a coltivare le aspettative, che non magnificava la performance a dispetto del contenuto.
Prima di introdurre la poesia di Rodari, Michela Andreozzi ha ricordato che c’è stata un’epoca in cui le parole si cercavano sul vocabolario. E credo che tutti noi, nella nostra memoria, abbiamo replicato il gesto di estrarre l’imponente faldone del vocabolario dalla libreria e sfogliarlo velocemente alla ricerca del significato ignoto. Ricordi dei tempi di scuola, di quando si facevano i compiti a casa nel pomeriggio, e il giorno dopo le maestre ci interrogavano: è il tuo turno, alzati in piedi, schiarisci la voce e parla.
Ho fatto in tempo a cercare sul vocabolario il significato delle parole, e a imparare a memoria le poesie. Ecco, questo non esiste più: è analogico, come me, che ancora mi ricordo a memoria la prima poesia che ho imparato. Era di Gianni Rodari.
Scopriamo testo e analisi della filastrocca di Rodari, tratta dalla raccolta Filastrocche lunghe e corte (Einaudi, 2010).
Filastrocca corta e matta di Gianni Rodari: testo
Filastrocca corta e matta:
il porto vuole sposare la porta;
la viola studia il violino;
il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”;
la mela dice: “Mio nonno è il melone”;
il matto vuole essere un mattone.E il più matto della terra
sapete che vuole?
Fare la guerra!
Filastrocca corta e matta di Gianni Rodari: analisi e commento
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La Filastrocca corta e matta di Gianni Rodari si inserisce perfettamente nell’elogio del mondo analogico fatto da Michela Andreozzi, perché in queste due brevi strofe in rima il maestro di Omegna gioca con i lemmi delle parole e il loro suono, facendo riscoprire così la meraviglia racchiusa nel linguaggio. Il significato di “porto”, lo sappiamo, non ha nulla a che fare con la “porta”: le parole tuttavia si somigliano, differiscono solo per il genere e questa curiosa omonimia è una delle tante bizzarrie della lingua italiana.
Rodari plasma il linguaggio a suo piacimento, come un pagliaccio, per suscitare risate nei suoi piccoli scolari: sfrutta l’omofonia, la paranomasia, dimostrando che le parole posso divertire, che il linguaggio dischiude una possibilità creativa illimitata.
La conclusione, però, è riflessiva - come del resto Rodari ci ha abituato. L’ultima strofa della filastrocca è una ferma dichiarazione contro la guerra, l’unica e vera follia umana. Cosa vuole la persona più matta della terra? chiede Gianni Rodari e con un finale in rima semplicemente dice: la guerra. E le nostre menti immediatamente fanno eco alla risposta pensando: “è vero” e anche se non siamo più bambini, o piccoli scolari, quella conclusione ci annienta poiché sembra cogliere una verità onnipresente e senza tempo.
Dopo aver suscitato grasse e grosse risate giocando con lessico e grammatica Rodari propone una riflessione profonda sul vero significato di “follia umana” che nel nostro presente trova una validissima personificazione.
Era bello imparare le poesie a memoria, sì, recitandole davanti alla maestra in piedi di fronte alla cattedra, stando attenti a non incepparsi, a non dimenticare il verso o la parola perché ogni cosa era intrecciata all’altra come una catena di senso. Recitare le poesie a memoria ci ricordava, appunto, che le parole hanno un peso e non solo un significato: le parole non erano volatili, sfuggenti, astratte ma divenivano concrete e si imprimevano a fondo nella nostra mente come impronte destinate a lasciare una traccia. Anche la “guerra” era concreta, specialmente se associata a un’altra parola che per associazione le diventava affine “matto”.
La Filastrocca corta e matta di Rodari non aveva nulla di folle, anzi, ragionava attorno al concetto di “pazzia” per dirci molto di vero: le parole creano un ponte tra l’immaginazione e il mondo e ci insegnano ad agire in virtù di un fine, a ordinare il nostro universo interiore ed esteriore.
Le parole erano parte fondante del mondo analogico, pezzi di memoria e significato: ma oggi, nel mondo digitale, stiamo dando loro il giusto peso?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La Filastrocca corta e matta” di Gianni Rodari recitata da Michela Andreozzi a Belve
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