La Grande Guerra ai Tropici
- Autore: Marco Sappino
- Genere: Sport
- Anno di pubblicazione: 2015
Nel 1914 la prima trasferta del calcio italiano in Sud America.
Calcio pionieristico cento anni fa: Torino e Pro Vercelli, una rivalità spinta all’altro capo del mondo, per una tournée estiva in Sud America delle due squadre piemontesi di foot-ball (allora si scriveva col trattino). Era la vigilia della prima guerra mondiale e al ritorno molti uomini di quelle formazioni dovettero sostituire di lì a qualche mese il grigioverde ai colori sociali, le armi al pallone. Qualcuno rimase pure sul campo, che non era più quello di calcio. Sono tanti i motivi di interesse del volume “La Grande Guerra ai Tropici”, (Imprimatur Editore, 2015, 330 pagine, 18 euro) a firma del giornalista e scrittore Marco Sappino, già redattore capo nell’Unità e stretto collaboratore di Walter Veltroni, col quale condivide la passione per il calcio studiato.
Senza dubbio fu la la prima trasferta via mare, anzi, Oceano e la Pro Vercelli riuscì a precedere di una settimana i rivali, che gridarono allo scandalo, avendo accolto l’invito ufficiale dei club della Lega Paulista, mentre a loro avviso il sodalizio vercellese si era aggiunto clandestinamente al progetto, partendo perfino in netto anticipo. L’allora blasonatissimo team rossocrociato era già da sei giorni in navigazione verso le amichevoli in America latina, finanziate da generosi mecenati locali, quando i diciannove passeggeri torinisti salparono per Santos il 22 luglio 1914, sul piroscafo “Duca di Genova”.
Leader della comitiva granata era un dirigente nemmeno trentenne, un torinese dal carattere energico, che avrebbe lasciato il segno nel calcio mondiale: Vittorio Pozzo, proprio il tecnico che condurrà la Nazionale italiana a vincere due Coppe Rimet e l’oro olimpico tra il 1934 e il 1938. Ma in Italia, nel 1914, lo sport del pallone era ancora molto gracile, lontanissimo dal primato che avrebbe poi conquistato. Difettavano gli impianti, non esisteva ancora un campionato unico della massima serie, le distanze proibitive tagliavano fuori le squadre del Sud e mancava un’organizzazione federale capace di gestire movimento e problemi. L’Italia di allora era un Paese molto diverso da oggi: ogni anno si piangevano migliaia di vittime di malaria e pellagra, un terzo degli abitanti del Regno era analfabeta e solo un italiano su dieci aveva finito la quinta elementare. I laureati erano duemilacinquecento e le donne non avevano diritto al voto. Emigravano in massa per il Nuovo Mondo, ricorda Sappino: contadini senza terra, piccoli proprietari indebitati, artigiani senz’arte, operai senza fabbriche. Andavano ad erigere ponti, a piantare rotaie, bonificare paludi, disboscare giungle. Spinti dalla fame, poveri in canna ma volenterosi riuscirono a compiere all’estero quello che l’esercito dei Savoia non era riuscito a realizzare in Africa: allargare il perimetro nazionale, non però con la sovranità della bandiera, ma con la civiltà del lavoro, del sacrificio, della volontà di migliorare, di crescere.
Ecco la trasferta, annunciata dallo “Sport del Popolo”:
il 22 luglio il Torino al completo si imbarcherà da Genova per il Brasile, dove sosterrà una serie di incontri con le forti equipe locali.
La nave va, con uno spazio in coperta attrezzato a palestra per i calciatori, anche se salti e corse provocavano il distacco dei lampadari dai soffitti sottostanti. Per Pozzo la preparazione atletica era irrinunciabile, al pari della sobrietà nell’alimentazione e della correttezza nei rapporti col gentil sesso. È tutto da scoprire nel volume, se e quanto sia riuscito a tenere a freno gli ardori dei giovani, prima con le rarefatte presenze femminili a bordo, poi sulla terraferma paulista con gli eserciti di disinibite bellezze color caffellatte.
Altre curiose disavventure sono legate all’inevitabile mal di mare durante la lunga traversata.
In sintesi, il Torino disputò sei sfide, tutte vinte e tre in Argentina. Le partite della Pro Vercelli in Brasile furono dieci: un successo, cinque pareggi, quattro sconfitte.
In guerra, nel 1915-18, caddero 379 calciatori arruolati: 31 dell’Internazionale, 27 del Genoa, 18 della Juventus, 17 del Milan. Le pallottole non facevano il tifo per nessuno.
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