La battaglia. Guelfi e ghibellini a Campaldino nel sabato di san Barnaba
- Autore: Riccardo Nencini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
Guelfi e Ghibellini, tutto è nato da un fidanzamento combinato e rotto, a Firenze, tra un Buondelmonti e una Amidei. Tutto? Mica poco, la disfida quasi centenaria tra sostenitori del papa e dell’imperatore, in Toscana. Era Pasqua del 1215, scrive Riccardo Nencini, in un libro che ricostruisce in forma di romanzo-verità la madre di tutte le battaglie tra le due fazioni: “La battaglia: guelfi e ghibellini a Campaldino nel sabato di San Barnaba”, pubblicato nel 2015 (264 pagine, 18 euro) da Mauro Pagliai Editore, alla terza edizione dopo quelle del 2001-2002 e del maggio 2006.
Nozze promesse per rimediare ad una delle frequenti dispute tra famiglie nella città del giglio. Nel corso di un incontro conviviale, complici qualche antica ruggine e l’abbondante vino, uno dei Fifanti era venuto alle mani o peggio con Buondelmonte dei Buondelmonti. Per dimenticare le offese reciproche, i primi proposero un matrimonio riparatore, offrendo in sposa al rissoso nobile la figlia (non una gran bellezza, in verità) di Lambertuccio Amidei. Alla vigilia del matrimonio, complice una controproposta della moglie di Forese il Vecchio, Buondelmonte restò abbagliato dalla bellezza di una giovane Donati e mandò a monte l’accordo nuziale. La sposa lo attese invano nella chiesa di Santo Stefano.
Il tempo di veder sorgere la Pasqua successiva e di mattina lo spergiuro venne accoppato dagli offesi, di poco fuori Ponte Vecchio. Cosa fatta capo ha. Non passò l’estate, che Firenze s’era tutta armata e lacerata in schieramenti contrapposti, che riproducevano quelli in cui si era andata dividendo la Cristianità: da parte guelfa, al servizio del papato, c’erano i Buondelmonti, i Donati, gli Adimari e altre trentasei ricche casate. Coi ghibellini e per la causa imperiale, stavano Fifanti, Uberti, Lamberti, Amidei, Scolari e trenta famiglie di ottimo censo.
Tutta Toscana li seguì presto da una parte o dall’altra, lungo il crinale della discordia. Divisi in tutto: diversi i merli delle torri, l’acconciatura dei capelli, i copricapi, il saluto e perfino il modo di tagliare il pane.
Riccardo Nencini, politico – è stato viceministro nei governi Renzi e Gentiloni – storico e scrittore, racconta la storia della battaglia di Campaldino, l’ennesima fratricida in terra toscana, che decise nel 1289 la vittoria definitiva del partito guelfo.
È Franco Cardini, tra i più eminenti medievalisti italiani, a firmare una prefazione fraternamente amica e toscanamente appassionata.
Nencini affida il compito di narrare parecchio degli eventi ad Adam de la Halle, scrittore e poeta di Arras, giunto in Italia al seguito di Carlo d’Angiò e rimasto nel Bel Paese dopo la morte del sovrano francese a Foggia, nel 1285. Ma c’è tutta una coralità di personaggi autentici che consente all’autore di raccontare i fatti con una scioltezza narrativa e un “naturalismo” storico, che derivano da inappuntabili ricerche.
Sembra di vivere gli accadimenti accanto ai protagonisti, che dal 2015 si avvicendarono nei ruoli di vincitori e sconfitti, viste le alterne fortune delle rispettive fazioni. Risalta l’odio inestinguibile tra concittadini, ferocemente insanabile, a conferma delle divisioni degli italiani, che c’erano anche prima e che ci saranno dopo, fino ai nostri giorni.
Mai battaglia era stata tanto feroce - nemmeno la pur più sanguinosa vittoria dei ghibellini di Siena a Monteaperti, un quarto di secolo prima – dello mattanza nella piana sotto il castello di Poppi, nell’Aretino, l’11 giugno 1289. A quella conduce tutto il suo libro.
Ci viene raccontata in ogni dettaglio, crudeltà comprese. Tutte le guerre sono spietate, ma quelle civili diventano ancora più atroci. Odio c’era e odio cresceva, per le scorrerie di aretini fin sotto Firenze e di fiorentini contro Arezzo. Tra i più accaniti combattenti di una parte si distinguevano i fuoriusciti dall’altra ed anche se non mancavano combattenti stranieri, le offese gridate da una schiera contro l’opposta venivano intese facilmente, urlate com’erano nella stessa lingua e col medesimo accento locale.
Dal 4 all’11 di giugno del 1289, una lenta avanzata delle truppe guelfe fiorentine verso Arezzo volle vendicare l’incursione ghibellina del marzo precedente fino ai piedi di San Miniato al Monte.
Il grande successo dei ghibellini senesi a Montaperti nel 1260 non era stato dimenticato (a Siena lo ricordano tuttora, col Carroccio, ad ogni Palio…). Al sopraggiungere degli armati avversi, i guerrieri ghibellini uscirono incontro da Arezzo, marciando verso Poppi.
Dante Alighieri ricorda con raccapriccio la battaglia di Campaldino nella “Divina Commedia”, vi combattè, come feditore a cavallo. Il poeta e il collega Cecco Angiolieri sono tra i personaggi veri rianimati da Nencini nella sua cronaca storica, fedelmente romanzata. Nelle conclusioni, fa presente che:
nulla appartiene alla fantasia dell’autore, salvo alcuni dialoghi.
La battaglia. Guelfi e ghibellini a Campaldino nel sabato di san Barnaba
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