La curva di sopravvivenza
- Autore: Carlo Patriarca
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2024
Sono molti i medici che hanno scelto di svolgere anche l’attività di scrittore: un folto gruppo che comprende, oltre a un certo numero di autori contemporanei, alcuni grandi della letteratura del passato.
Questa doppia professionalità potrebbe sembrare insolita, ma a un esame più attento è evidente che molte delle qualità necessarie per un buon medico sono anche attributi di un bravo scrittore: capacità di osservazione, dedizione, curiosità intellettuale, sensibilità e empatia.
Tutte doti che Carlo Patriarca, anatomopatologo e uno fra i più eruditi scrittori-medici italiani, possiede e che il suo quarto romanzo, La curva di sopravvivenza (Neri Pozza, 2024) non fa che confermare.
Si tratta, come lo stesso autore spiega nei ringraziamenti, di storie scritte una quindicina di anni fa, ambientate nella seconda metà del Novecento, la maggior parte delle quali frutto della sua immaginazione, dal carattere eterogeneo sia per il contenuto, sia per lo stile. I capitoli alternano il romanticismo al più crudo realismo, l’analisi psicologica a un’atmosfera che assume contorni onirici, l’attitudine investigativa al disincanto e alla nostalgia.
A fare da filo conduttore sono i protagonisti che ritroviamo negli undici capitoli, gli affetti e l’amicizia che li lega: Vittorio S., professore di Storia in pensione, un’indole ipocondriaca alle prese con una malattia reale dalla diagnosi avversa; il nipote Aldo, stimato chirurgo che si trova, suo malgrado, a convivere con il senso di colpa per le conseguenze di un grave errore commesso durante un intervento; e Bruno, amico di Aldo, schivo e riflessivo, il cui ruolo solitario e apparentemente “dietro le quinte” di anatomopatologo risulta invece fondamentale per la diagnosi, non sempre ovvia ed evidente, delle malattie, come nel caso di Vittorio.
Descrivere e comprendere la condizione umana è il risultato di un lavoro di riflessione che ha come oggetto la vita, la morte, la solitudine, la sofferenza, ma anche il conforto e la consolazione.
Alcune delle vicende che si susseguono sembrano essere legate in modo naturale alla vita professionale dell’autore, altre, alle sue passioni, come la montagna: temi che si uniscono, si completano e trovano un senso nella continuità che si crea fra letteratura e medicina.
La narrazione si diversifica anche in base agli stati d’animo e alle situazioni contingenti vissute dai personaggi – c’è persino un Fegato in volo sull’elicottero che lo porterà all’ospedale dove sarà trapiantato – i quali mantengono il proprio stile. Esso non solo definisce un modo di esprimersi, ma rivela anche un modo di pensare, un carattere, dei sentimenti…
Aldo e lo Stelvio esemplifica perfettamente queste straordinarie caratteristiche: Patriarca incanta il lettore e lo porta con sé in alta quota con la descrizione dettagliata della progressione di una salita in bicicletta. Le risposte fisiche alla fatica – “La salita è lieve e costante, l’asfalto di grana grossa trasmette le sue vibrazioni ai muscoli pettorali con un salutare formicolio” – si alternano alle percezioni e alle sensazioni: i riferimenti lungo la strada, come le quattro case cantoniere della statale 38; il silenzio tanto perfetto da sentire il respiro di un ciclista alle spalle; la macchia di larici screziata di giallo con il suo sottobosco luminoso e accogliente; una folata di umidità profumata, i vapori termali; il soffio del vento, il freddo e il caldo contemporaneamente…
E poi ci sono i ricordi di esperienze fatte su quelle stesse montagne fin da bambino, con lo zio Vittorio, oltre alle riflessioni generate da un difficile tratto percorso in compagnia di un olandese, che assumono quasi un carattere filosofico:
“Deve ammettere con se stesso che in due è più facile. Il sorriso nomade che il suo compagno riesce ancora a strappare di tanto in tanto alla fatica lo trascina in alto. […] Rallentando deliberatamente l’olandese aiuta in realtà anche sé stesso, mette al sicuro il successo della scalata. Quante volte anche nella vita si può sbagliare, facendo affidamento solo sul proprio ritmo, fino a perdersi in idee o percorsi a fondo cieco”.
Anche se è salito fin lassù per tenere a bada i pensieri, i suoi fantasmi si ripresentano ogni volta che ritornano le forze, chiedendo di rivivere un evento importante, i cui contorni tutt’altro che nitidi sottolineano in modo ancora più tragico la natura irreparabile e istantanea dell’errore che ha commesso.
La curva di sopravvivenza è un libro coraggioso non solo per gli argomenti trattati, ma soprattutto per il modo in cui vengono affrontati.
Nessuna morbosità, nessun compiacimento, né tentativi di giustificazione: i medici qui descritti rimangono uomini soggetti a pulsioni e a sentimenti: amano, odiano e soffrono allo stesso modo di coloro ai quali dedicano quotidianamente le loro energie, le loro conoscenze e la loro esperienza.
Alcuni possono essere dilaniati dall’ambizione, dalla lusinga del guadagno o dalla fama, ma la maggior parte di loro, ogni giorno, deve far fronte alle pressioni e allo stress provocati dall’eterna e spesso silenziosa lotta per la vita.
Una medicina che non può conoscere tutto per curare tutto e che deve fare i conti con l’errore e il fallimento; ma, pur non potendo fare a meno di evocare la morte, lo scrittore sceglie di fare appello alla vita.
La curva di sopravvivenza
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