La figlia di Debussy
- Autore: Damien Luce
- Genere: Musica
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Elliot
- Anno di pubblicazione: 2015
“25 marzo 1918. Oggi Papà se n’è andato”. Claude-Achille Debussy (Saint-Germain-en-Laye 1862 - Parigi 1918), uno dei più grandi compositori francesi, era appena morto. Tutti in salotto in quel momento parlavano della sua scomparsa, ma a quella del papà di Chouchou chi ci pensava?
“Verrebbe da dire che la morte di un grande compositore sia più importante di quella di un papino. (a volte lo chiamavo così)”.
La dodicenne Claude-Emma, affettuosamente soprannominata Chouchou da suo padre, cercava di farsi coraggio, trattenendo le lacrime, perché “le lacrime represse valgono quelle versate”, pervasa da quell’atmosfera di profonda tristezza che coinvolgeva anche il pianoforte. Orfano del musicista, lo strumento sembrava “impegnato nello sforzo di dimenticare”. Ecco che allora Chouchou aveva deciso:
“Ogni settimana, suonerò un suo pezzo. Sarà il mio modo di ricordarlo, di tenerlo vivo. Traccerò la sua vita passo dopo passo, nota dopo nota”.
In quella primavera del 1918, mentre i cannoni della I Guerra Mondiale avevano ancora pochi mesi di lavoro a loro disposizione, una bambina sensibile per ritrovare dentro se stessa lo spirito del padre, seduta al pianoforte, avrebbe eseguito le più belle composizioni di Debussy, perché il suono del pianoforte aveva il potere di coprire quello dell’assenza paterna. Dopo aver preso uno spartito a caso, ecco giungere le note eterne dei due Arabesque (“papà li chiamava i miei piccoli bastardi”), entrambi fatti di ghirlande sospese nel vento, anche se il secondo era più difficile del primo e anche più dispettoso, perché Claude-Emma vi ritrovava tutto l’umorismo paterno. Poi era stata la volta di Dans e Ballade ma il pezzo era difficile da suonare per chi aveva le dita piccole, “ci sono troppe note”. Era bello ritornare con la memoria a quando la piccola Chouchou si sedeva sotto lo strumento ascoltando il padre suonare.
“Spesso mi addormentavo, cullata dalla sua musica, quella di Bach o di Chopin”.
Se Chouchou apriva leggermente gli occhi vedeva dei grandi piedi che si intrecciavano sui pedali, mentre sopra la sua testolina c’erano travi simili a quelle di un solaio.
Nel Prologo del romanzo “ La figlia di Debussy ” (titolo originale La fille de Debussy, Elliot, 2015, traduzione di Raphael Branchesi), Damien Luce, nato nel 1978 a Parigi, immagina di aver ritrovato da piccolo all’interno del tronco cavo di un platano del parco del Bois de Boulogne “una specie di grimorio, talmente vecchio da sembrare rilegato in corteccia”. Era il diario segreto di una bambina, “una certa Chouchou Debussy”, unica figlia amatissima di Claude, la quale senza volerlo, attraverso ricordi e testimonianze aveva scritto la biografia in musica del celebre padre. Vent’anni dopo, a seguito di una nuova consapevole lettura, “un indescrivibile moto dell’anima” aveva condotto l’autore, pianista, compositore, romanziere e commediografo nel cimitero di Passy presso la tomba di Claude-Emma portata via dalla difterite il 16 luglio 1919, sulla quale non era stato ritenuto utile scrivere né il nome di Chouchou né quello della madre ma solo quello dell’illustre Claude.
“A partire da quel giorno, il diario finì in cima alla lista dei miei libri prediletti”.
Nel suo terzo romanzo composto come una melodia del cuore, lo scrittore accompagna i lettori nel mondo di una piccola donna, alla quale il padre aveva dedicato, scrivendo “alla mia adorata Chouchou… con le più tenere scuse di suo padre per quel che segue”, i sei brani del Children’s Corner. Il libro si presenta quindi come un’inedita e originale biografia di un genio malinconico, il quale non utilizzava la parola “comporre” ma diceva soprattutto “trovare”. Infatti per Debussy tutti i capolavori, come Clair de Lune erano già inscritti nel grande libro dell’universo.
“Di tanto in tanto (troppo raramente, per i suoi gusti), a qualcuno è dato sentirli e ricopiarli in un libro umano”.
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