La figliastra
- Autore: Caroline Blackwood
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Codice Edizioni
- Anno di pubblicazione: 2016
Pubblicato negli Usa nel 1976, “La figliastra” (titolo originale The Stepdaughter, traduzione di Gian Ugo Ozieri), un breve romanzo della scrittrice Caroline Blackwood viene ora tradotto e pubblicato in italiano dalla piccola Casa editrice torinese Codice: un libro di straordinaria attualità, soprattutto per il pubblico italiano alle prese con la stepchild adoption e altre realtà connesse con i figli dell’altro e i loro diritti nelle sempre più complicate relazioni di coppia.
L’autrice sceglie per la costruzione narrativa una sorta di finto romanzo epistolare, nel quale la protagonista, indicata con la sola lettera J, immagina di scrivere lettere ad un destinatario sconosciuto a cui racconta quasi quotidianamente la intricata vicenda del suo matrimonio con Arnold, un grande e facoltoso avvocato newyorkese, dal quale ha avuto una bambina, Sally Ann, ma che le ha chiesto di accogliere in casa anche la figlia avuta dal suo primo matrimonio, Renata, una tredicenne brutta, grassa, malvestita, indolente, silenziosa, che non sembra interessata ad alcun rapporto con le persone di casa: con lo stesso padre intrattiene un rapporto quasi inesistente, come pure con la sorellastra di appena quattro anni e con la au pair francese, Monique. Ma appena sistemata la famiglia in uno spettacolare appartamento con vista mozzafiato sui grattacieli di Manhattan, Arnold scompare a Parigi con la nuova compagna, ovviamente giovane e bellissima. La narratrice, sempre più nervosa, depressa, sofferente, si trova prigioniera di una situazione che non ha scelto, dovendosi confrontare quotidianamente con l’ostilità silenziosa di Renata, sempre chiusa nella sua stanza a guardare per ore la tv o, peggio, in cucina a confezionare orribili muffin, che divora compulsivamente peggiorando la sua già incipiente obesità. J detesta tutti quelli che la circondano: la sua stessa bambina, desiderosa di cure materne che lei è incapace di dare, la ragazza francese che viene quasi schiavizzata al servizio di tutti e, soprattutto, Renata che diventa per lei una vera e propria ossessione: perché Arnold gliela ha affidata? Forse in cambio del ricchissimo appartamento e dei lussi economici che le elargisce, in una sorta di ricatto morale? Fra le quattro mura del pur lussuoso alloggio, la narratrice non riesce a dipingere, né a intrattenere rapporti con le amiche, sempre più sfatta, chiusa nell’incomunicabilità linguistica (Monique parla solo francese, Sally Ann piange soltanto, Renata tace ostentatamente).
Nelle ultime pagine de “La figliastra” un dialogo chiarificatorio e conclusivo tra J e Renata, spiegherà molti dei misteri sottintesi alla narrazione, durissima, di rapporti tempestosi, al limite della violenza fisica e psicologica che si sono instaurati in quell’apparente paradiso nel quale le quattro donne sono rimaste loro malgrado invischiate. Tutta colpa di Arnold, il maschio, marito e padre cattivo?
Il romanzo affronta con insolita durezza, senza sconti, l’orrore che può scatenarsi all’interno dei nuclei familiari, quando le incomprensioni sono generate da equivoci, menzogne, non detti.
Dietro le personali tristi vicende che si svolgono nel grande appartamento c’è New-York, la Grande Mela dei sogni di tanti nel mondo occidentale, che rivela qui insospettati squarci di corruzione, di squallore:
“Ultimamente, di notte, quando guardo fuori e il panorama diventa magico e luccicante come un gioiello, mi ritrovo a pensare con invidia alla gente che vive nelle stanze al di là delle luci calde e allegre di Manhattan. Comincio a pensare che tutti, in quelle stanze, vivano vite calde e allegre – anche ad Harlem, anche a Spanish Harlem... Mi sono resa conto con disgusto che anche lassù, nell’atmosfera rarefatta della mia terrazza assolata, il cibo si ricopriva della solita pioggia invisibile di fuliggine inquinata”
Inquinamento atmosferico, negli anni Settanta una vera e propria ossessione per gli Americani, inquinamento affettivo, che Caroline Blackwood sa raccontare con un linguaggio letterario ricco e sapiente, fatto di metafore, di citazioni, di allusioni e di sottintesi che rimandano alla grande narrativa americana. Ecco allora che Renata
“Mi ricordava una teiera senza il beccuccio, una bussola che avesse perso l’ago, un vecchio disco con tutti i solchi graffiati”
oppure la cantilena nota ad ogni bambino di lingua inglese,
“Humpty Dumpty sat on a wall, Humpty Dumpty had a great fall...”
che diviene lo spunto per un’ulteriore descrizione della sfortunata ed innocente Renata:
“È difficile descrivere il modo in cui riesce ad essere così fastidiosa, questa specie di Humpty Dumpty; è come se a un certo punto, in passato, una rovinosa caduta avesse mandato in mille pezzi tutto ciò che di sano c’era nella sua personalità. Sembra che voglia implorare qualcuno – che siano i Cavalli del Re o chiunque altro – di sforzarsi per rimetterla insieme."
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