La fucina del diavolo di Ennio Valtergano

La passione per la volta celeste diventa “La fucina del diavolo” dalla quale Ennio Valtergano, ancora una volta, estrae i suoi personaggi, già pronti e guizzanti dopo l’esperienza de “La Signora del borgo”.

E’, infatti, subito thriller, con un omicidio che apre il romanzo storico, ed è anche avventura sulla scia rombante dei sassi che cadono dal cielo e lasciano il segno nella vita di quanti vivono l’anno 1496 in quel lembo compreso fra Medioevo e Rinascimento, limitato da fede dogmatica e società costituita. Proprio lì prende le mosse una ricerca scientifica che diventa ricerca del vero. Non più solo donne a incarnare l’eterno femminino, ma anche uomini tesi ad accoglierne la Natura, pronti a combattere e rischiare per dar voce a un sapere di ampio respiro. Tra loro, ecco Cornelio Adinolfi, dagli occhi color dell’acciaio come la sua volontà, Roggero di Valvibrata, coraggioso fino a esser temerario, il conte Ottaiano, alchimista contro ogni convenzione ma anche il vescovo, saldo nelle sue convinzioni ma onesto tanto da lasciare spazio al dubbio bene argomentato. A far da contraltare, ancora e sempre, la bramosia di denaro e potere, la vanagloria perniciosa, la cupidigia, tanto varie nelle loro sfaccettature quanto lo è la maschera umana.

Davvero smagliante il talento scenografico dell’autore che conduce il lettore nelle pieghe delle passioni come nei territori umbro-marchigiani, giocando con l’inquietudine sospesa sempre sul filo del tempo. Bellissima Bologna, restituita ai canali d’acqua che ne sono l’anima, per non parlare della rocca di Ravaldino, teatro di illusioni dominato da una verosimile Caterina Sforza. Il finale è una fioritura di sorprese, una dentro l’altra, che si aprono come una rosa scoppiettante di fuochi d’artificio: un vortice di emozioni che non parrebbe possibile dopo 480 pagine. L’Editrice Bastogi ha indubbiamente il merito di avere rivelato un grande talento narrativo contemporaneo.