“Mancare” indica privazione di qualcosa e ciò che a Pasolini viene meno è la richiesta di Poesia: argomento, questo, che gli sconvolge l’animo fino ad avvertire il vuoto in modo angosciante.
Siamo nella lirica datata 1963 che s’intitola appunto La mancanza di richiesta della poesia, inserita nella raccolta “Poesia in forma di rosa”.
L’idea di decadenza è espressa dai primi versi in cui si trova la forma del malessere oscuro e fosco. Pasolini, ormai persuaso del ruolo alquanto marginale dell’arte poetica nella società borghese, alla relazione “arte e vita” sostituisce il rapporto “arte e morte”.
“La mancanza di richiesta della poesia” di Pasolini: analisi
Nel mondo assegnatogli dalla sorte è il vuoto che si spalanca al suo sguardo e lo pietrifica. Come catapultato in un girone dantesco, da dannato si percepisce al livello più infimo della schiavitù o dell’animalità: perduta la parola che riempie il vuoto, subentra l’aridità come indicatore dell’essere del nulla:
Come uno schiavo malato, o una bestia, vagavo per un mondo che mi era assegnato in sorte, con la lentezza che hanno i mostri del fango – o della polvere – o della selva - strisciando sulla pancia – o su pinne vane per la terraferma – o ali fatte di membrane…
Al doloroso disincanto corrispondono versi in uno spazio semantico senza scampo per l’insuperabilità del presente e la certezza dell’inesistenza del futuro.
Un risultato insensato nasce così dalla relazione tra l’uomo e il mondo: preso dall’incubo per la distruzione dei valori poetici, Pasolini si ritrova in una città senza anima, rappresentata come un groviglio di sottopassaggi e di strade, di suoni ridotti a sciacqui.
Con l’assenza di richiesta di poesia, la situazione metropolitana è il luogo dello scacco e di un peso insopportabile:
C’erano intorno argini, o massicciate, o forse stazioni abbandonate in fondo a città di morti – con le strade e i sottopassaggi della notte alta, quando si sentono soltanto treni spaventosamente lontani, e sciacqui di scoli, nel gelo definitivo, nell’ombra che non ha domani.
L’allegoria è chiara: la visione è d’una città desolata, sradicata e senza prospettive; non c’è un margine per l’individuo e nemmeno una strada che possa condurre all’approdo di una cultura autenticamente umana.
Lo stato d’uno spaesamento inconsistente, oltre a essere inquietante, è mortalmente disperato:
Così, mentre mi erigevo come un verme, molle, ripugnante nella sua ingenuità, qualcosa passò nella mia anima – come se in un giorno sereno si rabbuiasse il sole; sopra il dolore della bestia affannata, si collocò un altro dolore, più meschino e buio, e il mondo dei sogni si incrinò.
Quando si uccidono i sogni, e sappiamo quanto siano essi importanti per poter scorgere un mondo rinnovato, la disattenzione alla vita prende il sopravvento fino a estinguersi lo slancio creativo.
Da qui l’esigenza di rifondare la cultura del senso e del desiderio come impegno etico oltreché sociale e culturale. Entro questa direzione pare di poter collocare il percorso del poeta: un tessuto ormai privo di elementi connettivi come deiezione e frantumazione di sé.
Nella conclusione la parola si fa intimo dialogo che riafferma l’insanabile scissione tra “arte e vita”, tra sogno ed esperienza per il signoreggiare di leggi subordinate al profitto e al mercato.
“Nessuno più ti richiede poesia!” “È passato il tuo tempo di poeta...” “Gli anni cinquanta sono finiti nel mondo!” “Tu con le Ceneri di Gramsci ingiallisci, e tutto ciò che fu vita ti duole come una ferita che si riapre e dà la morte.”
Il sentirsi inutile come un verme, l’ingiallimento causato dalla fine della bellezza, la perdita del sognare sono i segni della mancata richiesta della poesia. Non si creano più nuovi mondi; si affermano le vite effimere; le individualità deperiscono, mentre le voci autentiche si spengono nell’oscurità dell’Ade.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La mancanza di richiesta della poesia” di Pasolini: sul conflitto tra arte e società
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