La notte di Ferrara
- Autore: Pierre-Jean Remy
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2024
La notte di Ferrara dell’autore Pierre-Jean Remy (Gammarò Edizioni, 2024) è stata una piacevolissima scoperta: mi ha affascinato fin dalle prime pagine per la sua trama tra sogno e realtà e per la sua scrittura nobile e raffinata.
Pierre-Jean Remy è stato diplomatico, romanziere e saggista. Laureato in Scienze Economiche alla Sorbona, negli anni Sessanta iniziò la sua carriera diplomatica ricoprendo cariche molto importanti: membro dell’Unesco, direttore dell’Accademia di Francia a Roma, presidente della Bibliothèque Nationale Française e accademico di Francia. Appassionato di opera, teatro e musica, ha sempre affiancato alla carriera diplomatica la passione letteraria pubblicando una sessantina di opere.
Ne La notte di Ferrara, per la prima volta in italiano con la traduzione di Maria Luisa Santi, un viaggiatore collezionista si perderà tra le nebbie di Ferrara, quella di Giorgio Bassani e il suo capolavoro Il Giardino dei Finzi-Contini, quella delle notti buie delle deportazioni delle SS, e si muoverà in una realtà immaginifica popolata di significati e di presenze. Il mito o la metafora del viaggio fa parte dell’universo culturale dell’uomo, scrive Elvira Landò nell’introduzione al libro, e se il viaggio è scoperta di sé e di altro, narrarlo è contribuire con inesauribile fecondità a un’iniziazione.
Un romanzo dedicato alla città di Ferrara, in ricordo al libro che l’autore terrà sempre con sé, il già citato Il giardino dei Finzi Contini di Bassani, e della bella Micol che giocava a tennis. Due notti nella città a lui cara, la città degli Este, di Ariosto, di Bassani e di De Chirico. Il ritratto della sua inseparabile Mathilde sarebbe stato esposto al Palazzo dei Diamanti. Le bionde mura che facevano il giro della città dalle nebbie luminose e dalle nerissime notti lo accoglieranno al suo arrivo e il suo vagabondare per le strade sarà un tuffo nel cuore della memoria.
Questa immersione nella notte e nella nebbia io l’ho voluta immaginare in compagnia di un viaggiatore di cui il mio solo vero terrore sarebbe quello di assomigliargli troppo.
Il nostro protagonista, bibliofilo collezionista, è in aereo in direzione di Ferrara con il suo dipinto preferito, il ritratto di Mathilde, che sarebbe stato esposto al Palazzo dei Diamanti. Non amava lasciare la sua casa in rue de Varenne, i suoi libri, le sue abitudini e soprattutto i suoi quadri; ma questa volta non aveva potuto dire di no. Nel quadro di Jerome Jerzy, uno dei più celebri pittori viventi, che dopo mille sotterfugi era riuscito a comprare, Mathilde era ritratta nella sua intera fierezza e bellezza; non riusciva a evitare di guardarlo con ossessione, sia che tornasse da un lungo viaggio o da un fine settimana.
Lo sguardo interrogativo dell’adolescente, ritratta ammirabilmente nuda, era l’unico ad accoglierlo al suo rientro. Così sconvolgente da essere una sorta di provocazione terribile, la sola vera compagna dei suoi buoni e cattivi giorni. Si lasciava cadere sul grande divano della sua casa tra le collezioni di quadri e libri con rilegature antiche ed edizioni originali di scrittori e iniziava a conversare con la bambina del quadro dai seni appena abbozzati.
E che, dinanzi a Mathilde, con la massima impudicizia mi capitava di lasciarmi andare alle più morbose riflessioni.
La potenza del mezzo sorriso di Mathilde, “così crudelmente infantile”, con il corpo dalle linee immature, lo condannava “ai faccia a faccia amorosi”, divenendo l’unico oggetto possibile di tutte le sue attenzioni. Da vent’anni non amava che lei, in un favoloso teatro immaginario di cui era l’unico spettatore. Un argomento di meditazione su sé stesso e su ciò che aveva potuto amare, sugli anni perduti e i nuovi desideri di tele dipinte che riassumevano tutta la sua vita.
La città di Ferrara, situata in un equilibrio instabile, mutevole, tra il banale e l’irreale, rappresentava la realtà che trasfigurava il sogno: con le sue strade, i suoi archi, i suoi rari passanti, il castello di rosso opaco che svettava in cielo così spesso dipinto da De Chirico, l’armonia delle chiese e i palazzi e le case del Rinascimento. E l’antico ghetto con le sue stradine tortuose, tra le quali riecheggiava la gioia di Micol, il suo sorriso, il rumore delle palle da tennis. Le piccole strade, spazi misteriosi, in un continuo variare di ombre e luci, si popoleranno di presenze. Donne con le loro storie che si ripresentavano nella sua mente, le loro ombre nell’incedere del suo cammino. Della moglie Hélène, l’unica ad avere capito la sua ossessione e che era diventato il fantasma di tante gioventù perdute; con lei le riflessioni sul mondo erano un solo pensiero. Dopo che era morta il suo passo divenne indolente e guardingo, pigro, spesso con l’animo più vuoto che realmente sognatore.
Non facevo che vagabondare, proprio in cerca di nuovi incontri ai quali prendevo più gusto.
Era arrivato a Ferrara per scortare il suo quadro e mai si sarebbe aspettato tutto quello che gli stava capitando intorno, visi e ombre emerse dal passato della città e dal suo, come se fosse stato convocato a un appuntamento, in un tormento senza fine. La notte di Ferrara è un’opera originale, seducente, un viaggio visionario con pagine di struggente malinconia tra eros e desiderio, illusioni e memorie, inganni e realtà.
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