La sposa cadavere di Friedrich August Schulze

La sposa cadavere è un racconto con una genesi antica compreso in una raccolta realizzata dallo scrittore Friedrich August Schulze, ora riedita da Caravaggio Editore in una bella edizione illustrata con la curatela di Enrico De Luca.
I viaggi compiuti dal racconto in giro per il mondo, passando tra le mani di lettori ed editori di paesi diversi, potrebbero essere considerati già una storia a sé.
Dalla Germania, da cui ebbe origine, arrivò in Francia, fino in Inghilterra, destando l’interesse della grande scrittrice Mary Shelley.

Nella prefazione, la struttura del testo viene descritta come scatole cinesi, la storia nella storia, e questo incastro viene fatto in modo talmente abile che il lettore non può non esserne risucchiato. Il racconto ci viene narrato dalla bocca di un marchese italiano, persona colta, estrosa, famoso per i suoi aneddoti brillanti.
Davanti a una platea di nobili incuriositi, narra della sua visita a un vecchio amico nobile che si trova in una situazione particolarmente funesta per aver appena perso una delle sue giovani figlie, Hildegarde.
Tra gli ospiti del castello, anche un nobile veneziano aitante, il conte Marino, che desidera chiedere in sposa l’altra sua figlia, Libussa.
Egli afferma di averla vista durante un’esposizione a Parigi e di averla seguita. In realtà, Libussa, che somiglia particolarmente alla sorella defunta, non si è mai mossa dal castello. I segreti inquietanti racchiusi tra quelle mura coinvolgono lo stesso giovane e porteranno a un epilogo sconvolgente.

All’interno di questo resoconto, apprendiamo la leggenda della sposa cadavere. Una donna sadica e bellissima, condannata a rimanere per sempre sospesa tra il regno dei vivi e quello dei morti, per perseguitare uomini innamorati.
Il romanzo ha uno stretto legame con una leggenda ebraica, Il dito, che sembra abbia ispirato il grande Tim Burton nel film di animazione omonimo.

In poche pagine si rivive il fascino delle cose perdute, il brivido delle leggende oscure e dei luoghi pericolosi, in cui la persona che si guarda, così bella da sembrare reale, è solo l’abbaglio di sentimenti marci, lo spettro di un’atavica paura di morte.