La poesia “Le belle bandiere” nella raccolta “Poesia in forma di rosa”, scritta nel 1962, ha l’incipit costruito su una visione pittorico-coloristica. Potremmo dirlo l’affermazione della solarità in un differenziarsi di toni densi e concreti e di musica del linguaggio tra metafore e similitudini. La visività, di notevole respiro, pone l’accento sulla quotidianità animata dalla presenza del venditore ambulante “che da molte ore cammina per le strade” e già centinaia di tram vanno avanti e indietro “per le rotaie dei viali che circondano la città”. Sono i segnali del mattino su cui Pasolini, alle ore dieci, si sofferma. Altra è la razionalità rispetto alla realtà maturata nel profondo. Ma lui a letto continua a sognare. E sogna “il furore uterino” del mare dalle lente e grandiose ondate di grani azzurri. Sono acque agitate dalla forza della natura, pronte ad accogliere “l’atto più atroce del destino”. È uterina la sua dimensione onirica; sgretola la fede negli ideali già vissuti: l’isola è ridotta a pochi metri di terra.
I sogni delle dieci del mattino,
nel dormente, solo,
come un pellegrino nella sua cuccia,
uno sconosciuto cadavere
– appaiono in lucidi caratteri greci,
e, nella semplice sacralità di due tre sillabe,
piene, appunto, del biancore del sole trionfante –
divinano una realtà,
maturata nel profondo e ora già matura, come il sole,
a essere goduta, o a fare paura.
Si reitera la profezia dei “sogni che divinano la realtà”,
Ma qual è la divinazione?
Cosa mi dice il sogno mattutino?
«il mare, con lente ondate, grandiose, di grani azzurri,
si abbatte, lavorando con furore uterino,
irriducibile,
e quasi felice – perché dà felicità
il verificare anche l’atto più atroce del destino –
sgretola la tua isola, che ormai
è ridotta a pochi metri di terra…»
È una situazione che fa piangere e il poeta invoca aiuto per la solitudine che avanza (“Aiuto, avanza la solitudine! // Non importa se so che l’ho voluta come un re”). Pasolini con l’immagine in lui di un bambino “muto”, che si spaventa e chiede pietà, delinea una realtà sorpresa nel vuoto sociale: testimonianza del presente in una sorta di solitudine nata dall’indifferenza del “brutto biancore” degli anni Sessanta. Andando avanti nella lettura, il discorso polivalente si manifesta nella contrapposizione di due concezioni: l’“antica” dei miti dalle profonde radici e la dissacrante del mondo moderno:
È giunta l’ora dell’esilio, forse: l’ora in cui un antico avrebbe dato realtà alle realtà, e la solitudine maturata intorno a lui, avrebbe avuto la forma della solitudine. E io invece – come nel sogno - mi accanisco a darmi illusioni, penose, di lombrico paralizzato da forze incomprensibili: «ma no! Ma no! è solo un sogno! La realtà è fuori, nel sole trionfante.
Gli è vicina la madre: “siamo due superstiti in uno”. Non l’abbandona la fede negli anni Cinquanta e restano gli amori (“la mano sul gonfiore tiepido, / i baci, ogni volta a una bocca diversa, / sempre più vergine,...”). Al sole trionfante Pasolini non crede e ad esso contrappone il sole dentro il sogno, vale a dire l’unione del maschile col femminile, in una sorta di androgino:
Ma quel qualcosa di “bianco”
che a lettere greche
mi presentò, irrevocabile, il sogno conoscitore,
mi rimane addosso […]
il biancore gioiosamente romantico,
perdutamente barocco, del sole nel sonno.
Il poeta può così affidare la conclusione alla bellezza della natura a primavera, dove è il colore quasi rosso in cui si manifesta il suo rigoglio, per abbandonarsi infine alla nostalgia degli anni quaranta quando sventolavano le belle bandiere del tutto rosse della speranza:
Su quei muretti, su quelle strade,
imbevuti di strano profumo
dove fiorivano rossi nel tepore
i meli, i ciliegi: e il loro colore rosso
aveva una brunitura, come
se fosse immerso in un’aria di caldo temporale,
un rosso quasi marrone, ciliege come prugne,
pometi come susine, che occhieggiavano,
tra le brune, intense
trame del fogliame, calmo, quasi la primavera
non avesse fretta,
volesse godersi quel tepore in cui fiatava il mondo,
ardente, nella vecchia speranza, di una nuova speranza.
E, su tutto, lo sventolio
l’umile, pigro sventolio
delle bandiere rosse…
La poesia, tra l’onirico e il reale, toglie così terreno alla desolazione e alla dissoluzione, confermando la forza suprema degli incrollabili valori, del voler rinascere malgrado l’avanzare dei disincanti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Le belle bandiere” di Pier Paolo Pasolini: analisi e commento della poesia
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