Le nostre teste audaci (L’orma editore 2021, introduzione e cura di Elena Vozzi, pp. 64), raccoglie le “Lettere della creatrice delle sorelle March”, come recita il sottotitolo del testo, Louisa May Alcott (Germantown, 29 novembre 1832 - Boston, 6 marzo 1888), tradotte per la prima volta in italiano.
Le nostre teste audaci. Lettere dalla creatrice delle sorelle March
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Abbiamo imparato da ragazzine ad amare Louisa May Alcott, attraverso la lettura di un classico della letteratura mondiale, Piccole donne (Little Women, 1868), storia di formazione e insieme diverso percorso di emancipazione di quattro sorelle, dal forte carattere biografico. Da adulte, leggendo la sua biografia, Louisa May Alcott. Una biografia di gruppo (Casa Editrice Jo March 2019), abbiamo compreso che questa donna straordinaria e fiera, dal grande e impegnativo background, possedeva una mente audace ed era capace, nell’Ottocento, di tenere testa e di ottenere un posto al sole, anche grazie al proprio talento e all’indipendenza economica ottenuta dopo tanti sacrifici, in una società dominata dagli uomini.
“Non sono abile nei lavori manuali, dunque userò la mia testa come un ariete da guerra e mi farò strada nella mischia di questo pazzo mondo”.
L’ambiente familiare fu fondamentale per la formazione del carattere e della forte personalità di Louisa May, che si rivela nelle lettere a familiari, editori e amici. Louisa era la seconda di quattro figlie (come la sua eroina Jo March) del filosofo e pedagogo Amos Bronson (1799 -1888), tanto amato, venerato genitore premuroso e severo ma totalmente privo di senso pratico, e dell’attivista abolizionista Abigail May, detta Abba, suffragetta proveniente dall’alta società bostoniana. In questo terreno già fertile e progressista, i maestri di Louisa May furono molti tra i membri eccellenti del “Transcendental Club” dei sobborghi di Boston, a cominciare dal suo principale portavoce, Ralph Waldo Emerson, senza scordare l’eccentrico pensatore Henry David Thoreau, ambientalista ante litteram, o l’ombroso e introverso romanziere Nathaniel Hawthorne.
Sappiamo, sempre sfogliando le pagine della sua biografia, che Louisa, femminista ante litteram e convinta sostenitrice dell’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti e del suffragio universale esteso alle donne, aveva assunto su di sé l’onere di occuparsi e rimpinguare le scarse risorse finanziarie della famiglia, lavorando come insegnante, sarta, governante e domestica.
Nel 1846, a quindici anni, Louisa May già lavorava per contribuire al sostegno economico di casa. Sul suo diario la futura autrice scriveva:
“Tutti pensano che io sia strana, selvaggia, ma la mamma mi capisce e mi aiuta. Non ho ancora parlato con nessuno dei miei progetti, ma so che si realizzeranno”.
Allo scoppio della Guerra di Secessione, la mente “illuminata” di Louisa l’aveva portata a recarsi al fronte per insegnare a leggere e scrivere agli schiavi fuggitivi, entrati a far parte dell’esercito dell’Unione, ma per via della sua condizione di donna sola ad Alcott fu permesso soltanto di contribuire alla causa come infermiera volontaria. Inoltre Louisa aveva compreso, prima di Virginia Woolf, che per riuscire a intraprendere la carriera di scrittrice occorreva ottenere l’indipendenza economica.
“P.S. Sia così gentile da inviarmi l’assegno sabato prossimo”.
Anche Jo March, la più volitiva delle quattro sorelle March di Piccole donne, aveva capito che doveva scrivere non solo per passione innata e per dare un senso alla propria esistenza, ma anche per conquistarsi l’autosufficienza economica. Nella vita di Jo March presto sarebbe entrato il Prof Friedrich Bhaer, e con lui avrebbe fondato una scuola progressista, Plumfield, nella vecchia dimora ereditata dalla zia March. Invece nell’esistenza di Louisa May, nessun innamorato o presunto tale si era palesato all’orizzonte, e chissà, forse l’indipendente Louisa May nemmeno l’avrebbe voluto…
“Come se il matrimonio fosse l’unico fine e scopo della vita di una donna!”.
In una lettera del 20 marzo 1860 redatta a Concord e indirizzata a Elizabeth Powell, educatrice e attivista, all’epoca insegnante di ginnastica in un college femminile, così scriveva:
“Jo sarebbe dovuta rimanere una zitella devota alla letteratura, ma sono stata sommersa da talmente tante lettere di giovani lettrici che mi pregavano entusiaste di farle sposare Laurie, o comunque di farla maritare, che non ho avuto il coraggio di rifiutarmi. Alla fine, non senza una punta di perversione, le ho combinato un matrimonio assai bizzarro. Mi aspetto di essere coperta di insulti, ma devo ammettere che la prospettiva mi diverte abbastanza”.
Che donna, Louisa May Alcott!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le nostre teste audaci: le lettere inedite di Louisa May Alcott
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