La novella Libertà di Giovanni Verga venne pubblicata per la prima volta il 12 marzo 1882 su “La domenica letteraria” e l’anno seguente inserita nella raccolta Novelle rusticane. Nei dodici testi che la compongono, Verga ripropone e radicalizza temi a lui cari, quali religione della roba e pessimismo storico. Logica economica e interesse egoistico improntano il comportamento di tutti i personaggi della raccolta, mentre sull’orizzonte sociale non c’è spazio per illusioni riformistiche. Scala gerarchica e denaro regolano i rapporti di forza da cui è bandita la solidarietà. Inoltre, il focus di Verga privilegia l’analisi delle dinamiche sociali ed economiche collettive rispetto a quella del singolo in lotta con l’ambiente, come dimostra la novella in esame.
Qual è l’argomento di Libertà
Questo racconto è problematico sia per l’oggetto, sia per la posizione dell’autore di fronte a esso, pur nella trasfigurazione letteraria. A riguardo, l’accusa di mistificazione della storia avanzata da Sciascia mi sembra inutile: la storia permette a Verga scrittore (non storico) di affrontare motivi generali, analoghi a quelli presenti nei Malavoglia.
Verga narra le fasi salienti di una rivolta contadina scoppiata in Sicilia e repressa dal generale Nino Bixio, passata alla storia come i fatti o il massacro del Bronte. I braccianti vogliono la libertà in senso socio economico come riforma agraria. I notabili temono questa libertà, che leggono in senso politico come rivoluzione e carneficina.
La trama della novella Libertà
Dal punto di vista strutturale, il testo è articolato in tre atti: azione, reazione, punizione.
Nell’incipit in medias res il lettore si imbatte in una folla inneggiante "libertà", ossia un’equa distribuzione della proprietà terriera. Armata di falci, scuri, sassi, travolge il centro del paese “come il mare in tempesta”, poi esonda nelle abitazioni dei notabili “come un carnevale furibondo”. In un crescendo di violenza sottolineata dal cromatismo rosso/nero vengono uccisi borghesi, aristocratici, preti, sbirri accusati di malversazioni o immoralità. Tra le vittime innocenti anche donne, bambini e un padre di famiglia in difficoltà.
Il giorno seguente gli insorti si radunano piano piano nella piazza deserta. L’inagibilità di chiesa, municipio, circolo li smarrisce. Il pensiero della spartizione delle terre li rende avidi, li divide e disorienta, ora che il padrone non l’hanno più. Poi l’arrivo di Bixio, “il generale che faceva tremare la gente”, comporta le prime esecuzioni sommarie. Il processo istituito in loco completa arresti e condanne.
In paese ognuno ritorna alle proprie occupazioni. Secondo i notabili libertà è sinonimo di rivoluzione e carneficina. La normalizzazione, invece, per i contadini significa ricominciare ad accettare la logica di arbitrii e sopraffazioni che ha alimentato la rivolta. In fondo braccianti e galantuomini sono legati a doppio filo per vivere.
A distanza di tre anni si concludono i processi. Mentre i giurati non dissimulano disinteresse e noia, gli imputati di cui è emblema la figura del carbonaio sono piegati dalla sofferenza della delusione e dello sconcerto.
Qual è la posizione di Verga?
In Libertà, la posizione di Verga è di cupo pessimismo: le differenze di classe sono ineliminabili. Verga, da latifondista conservatore, monarchico e crispino, non ha forse una visione fatalistica della realtà agraria?
Poiché l’assetto sociale è naturale, lo scrittore catanese pensa che ogni cambiamento sia destinato a fallire. Adesso diamo la parola alla storia.
Ma cosa sono i “fatti di Bronte”? I dati storici
Precisiamo i contorni di un episodio tristemente iconico del Risorgimento, sullo sfondo del processo di unificazione.
Bronte è un piccolo centro agricolo sulle pendici occidentali dell’Etna nell’entroterra catanese, situato nel Parco dell’Etna e nel Parco dei Nebrodi. Ne avrete sicuramente sentito parlare per il re della pasticceria siciliana: il pistacchio verde, l’oro della Trinacria famoso in tutto il mondo.
La novella, però, non sprigiona i profumi della macchia mediterranea, bensì le note amare di masse contadine che, deluse e angariate, ricorrono alla violenza.
Questi i fatti. Tra il 2 e il 5 agosto 1860 una sanguinosa rivolta di circa 10.000 contadini contro notabili borbonici viene repressa con il pugno di ferro da Nino Bixio, generale al seguito di Garibaldi, sbarcato in Sicilia e in procinto di raggiungere la Calabria insieme ai Mille. L’avvocato liberale Antonio Lombardi, leader morale e organizzatore dell’agitazione popolare, viene processato e condannato a morte da un tribunale di guerra, insieme ad alcuni presunti capi. A seguire numerosi arresti e un processo a Catania, conclusosi nel 1862 con 82 condanne. Tra le pene comminate, nessuna comportò la fucilazione.
Quali furono le cause dei fatti del Bronte?
Senza addentrarci nel distinguo tra cause remote e occasionali, la miccia della rivolta fu la mancata ridistribuzione delle terre in un tessuto socio-economico difficile, compromesso da secoli di miseria e sopraffazione. Perché la riforma agraria, malgrado i decreti garibaldini ne affidassero la realizzazione alle amministrazioni locali, rimase lettera morta. Un nulla di fatto che esacerbò i contadini locali.
Qual è il dibattito storiografico attuale sui fatti del Bronte?
Per la loro valutazione (tale rivolta non fu isolata), la storiografia contemporanea si attesta su un bipolarismo tra emergenza e normalizzazione, che alcuni leggono in chiave addizionale.
- “Emergenza” significherebbe necessità di ristabilire l’ordine per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Ulteriori, perché l’intervento di Bixio avviene quasi a cose fatte, quando l’ondata di violenza volge al termine.
- Di contro, “normalizzazione” alluderebbe alla volontà di stroncare istanze di sinistra finalizzate a una rivoluzione sociale. In questo delicato scenario si colloca anche l’intervento del governo inglese per sollecitare una soluzione radicale. Come mai? Per tutelare le proprietà dei suoi concittadini. Per evitare che gli insorti si appropriassero della cosiddetta ducea della famiglia dell’ammiraglio Nelson sito a 15 km da Bronte. Andiamo a curiosare su questo aspetto poco noto.
Sapevate che Orazio Nelson fu anche un duca siciliano?
Nel 1799 Ferdinando IV di Borbone omaggia l’ammiraglio Nelson per averlo aiutato con la flotta a rovesciare la Repubblica giacobina napoletana, la stessa su cui Vincenzo Cuoco scriverà il famoso saggio. La ricompensa ha il sapore di un beneficio medievale: un latifondo di 25.000 ettari chiamato ducea, termine dall’etimo francese sinonimo di ducato. Così lord Orazio Nelson viene nominato dal re di Napoli primo duca di Bronte. Solo nel 1981 il complesso, comprendente anche una chiesa e i resti di un’abbazia benedettina, diventa proprietà del comune di Catania. La parte gentilizia, nella vulgata "castello di Nelson", viene trasformata in un museo.
Dunque possiamo sintetizzare in questo modo le posizioni degli studiosi sulla repressione garibaldina. Bixio – su pressioni del governo inglese, con l’avallo di Garibaldi e dei Savoia – avrebbe scelto la linea dura per riportare l’ordine e tagliare la testa a ipotesi rivoluzionarie con condanne esemplari. Una lettura che non lascia indifferenti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Libertà: analisi e riassunto della novella di Verga
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