Lo shtetl perduto
- Autore: Max Gross
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2022
Esordio sfavillante per lo scrittore newyorkese Max Gross, il cui romanzo è stato tradotto in Italia da Silvia Montis per E/O e pubblicato con il titolo Lo Shtetl perduto (lost, in inglese). Una storia che ha dell’incredibile, raccontata con ironia tutta yiddish, e forse davvero opera della fertile fantasia dell’autore che nei ventidue intriganti capitoli del romanzo monta e smonta una vicenda surreale che a tratti sembra davvero molto realistica.
In un intricato e inaccessibile bosco della Polonia, un villaggio di ebrei ortodossi è stato incredibilmente dimenticato dalla furia nazista che aveva raso al suolo, bruciato, deportato tutti gli ebrei polacchi durante l’occupazione di quella terra sfortunata. Ma lo shtetl di Kreskol, che per uno strano caso aveva cambiato nome nel corso dei decenni, evidentemente non risultava sulle mappe e quindi quel pugno di ebrei, forse un migliaio o poco più, era stato dimenticato dalla storia e continuava a sopravvivere in un’economia di sussistenza autonomo e staccato dal mondo cosiddetto civile.
A Kreskol dunque comincia quest’originale narrazione: Pesha Lindauer, bellissima ragazza, sposata a Ishmael, decide di chiedere il divorzio perché non ama, non parla, non capisce il marito. Malgrado il rabbino cerchi di farla ragionare, la ragazza è irremovibile. Lascia in seguito a uno scandalo la casa coniugale, si rifugia dal padre e di lì una notte scompare. Stranamente anche Ishmael non si trova più. La comunità decide che i due debbano essere ritrovati e se ne debba denunciare la scomparsa alla polizia. Il giovane Yankel, un sempliciotto orfano con pochi legami con il gruppo dei concittadini, sarà mandato nella città più vicina, Smolskie, accompagnato da un gruppo di zingari, gli unici esseri umani che hanno conosciuto l’esistenza del villaggio e dei suoi strani abitanti, che parlano solo yiddish, vivono relegati al di fuori di ogni accenno di modernità, vestono e hanno le abitudini alimentari, le consuetudini religiose, lo stile di vita di almeno un secolo prima.
Yankel arriva in città e rimane sbalordito: gran parte del libro narra la nuova vita del ragazzo che viene preso per folle, a lungo ricoverato in un ospedale psichiatrico, nell’incredulità di un mondo contemporaneo che non riesce a credere a Yankel giudicato un impostore. Lui, invece, ingenuo ma deciso, incontrerà in un bordello proprio Pesha, che sopravvive facendo la prostituta in attesa di mettere da parte i soldi per fuggire, forse a Parigi, e se ne innamora prestamente.
La vicenda va avanti con molti colpi di scena, molte invenzioni e paradossi, tra lezioni di storia e fantasie, con elicotteri che raggiungono Kreskol, turisti che arrivano e il ritorno indietro delle lancette della storia. Forse Max Gross poteva limitare la lunghezza del racconto che a volte risulta troppo dettagliato nel mettere in scena diversi personaggi, aneddoti, scoperte, finendo per scoraggiare il lettore. L’originalità della storia riscatta comunque il romanzo, facendoci immergere in un paese mitico, dove Hitler non è riuscito a compiere la sua devastazione, dove la grande storia si è fermata di fronte a una foresta inestricabile, dove un senso di incontaminata purezza ha salvato un brandello di umanità. Yankel e Pesha sono personaggi ben disegnati e la loro storia è il vero romanzo nel più grande scenario inventato dall’autore. Una storia piena di metafore, di rimandi, di ipotesi fantasiose, di poesia.
Lo shtetl perduto
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