Lo specchio turco
- Autore: Viktor Horváth
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2016
Isa è giovane o vecchio? Isa ibn Yusuf è un anziano musulmano del ’500 che racconta la sua vita avventurosa nel romanzo “Lo specchio turco”, novità della casa editrice reggioemiliana Imprimatur, pubblicato nel luglio 2016, con la firma dell’ungherese Viktor Horvàth e nella traduzione di Amedeo Di Francesco (pp. 446, euro 19,00).
L’autore è di per sé un caso positivo ed altrettanto il traduttore. Viktor Horvàth, nato a Pecs nel 1962, insegna nell’Università di Pécs, traduce dall’inglese, tedesco, spagnolo, è un ricercatore di filosofia di grandi vedute e nel romanzo fa sviluppare da un occupante turco uno spaccato dell’Ungheria sotto il dominio ottomano, nella seconda metà del XVI secolo. Di Francesco è una colonna della magiaristica, docente nell’università Orientale di Napoli, premiato dalla Repubblica d’Ungheria per l’impegno nelle relazioni italo-ungheresi.
“Lo specchio turco”, esordio di Horvàth nel genere narrativo, gli è valso il massimo riconoscimento in Europa per la letteratura nel 2012, proprio per la sua spiccata visione multiculturale, che favorisce l’incontro di mondi diversi, quando c’è tanto bisogno di confronto pacifico, per frenare l’estremismo dell’Islam radicale, che sta muovendo un conflitto unilaterale contro l’Occidente. Non a caso, l’autore insiste sull’utilità di coniugare le due religioni, compulsando congiuntamente il “Corano” e la “Bibbia”.
Protagonista è Isa il vecchio, dunque. Anzi, Isa il giovane, visto che una volta giunto alla fine della vita, il figlio di Yusuf si compiace di descrivere con dovizia di particolari i suoi tempi e le sue azioni ai discendenti, che immagina intenti a leggere il libro molti secoli dopo la sua morte. Si figura il modo di vivere del futuro come un’evoluzione del suo modello abitativo. Vede i moderni distesi su cuscini, in una stanza tappezzata di arazzi alle pareti, accanto a un fuoco, sorseggiando una bevanda bollente.
Confessa di non avere mai apprezzato la lettura e la scrittura, ma di aver preferito cavalcare stalloni di sangue nobile, amare belle donne, seguire l’impennarsi delle frecce, compiere razzie e agguati. Gli interessava
“come poter colpire qualcuno con la mazza sulla fronte a dieci passi di distanza”.
E tuttavia ha deciso di scrivere, per placare finalmente la lotta dentro di sé e per riporre in un luogo sicuro, come un libro,
“qualche tessera colorata del grande mosaico dell’età dell’oro, prima che la polvere ricopra tutto”.
Ricorda tempi felici,
“quando gli uomini realizzavano i loro desideri già qui sulla terra con la loro preghiera, oppure compivano orrendi prodigi con i loro incantesimi”.
Scrive nell’anno 1007 dell’Egira o 1599 dalla nascita del profeta Gesù, ma il racconto parte dal 932, anno 1526 dell’era cristiana, in cui Solimano il Magnifico ha radunato un esercito enorme per muovere contro le terre d’Occidente e liberare l’Ungheria e la Germania dalla miscredenza in cui vivono i giaurri (i non musulmani), mangiatori di maiale. È il precettore albanese Seyfi a raccontarlo a Isa bambino, 73 anni prima che lui cominci a farlo a noi. Horvàth impreziosisce la scrittura con un linguaggio arcaicizzato, elegante, che non disturba in alcun modo la lettura, al contrario, la valorizza.
Attraverso il racconto si colgono le differenze tra i popoli. I sovrani cristiani si muovono continuamente guerra e i loro fanti e cavalieri sono interamente coperti di ferro, mentre dalla parte turca, specie i giannizzeri, corpo di elite dell’impero, indossano vesti comode dai colori sgargianti. Non ha rivali il padiscià Solimano, khan di Egitto, Arabia, Persia, Siria, Crimea, Rumelia e Trapezunte, signore del Serraglio, il meraviglioso palazzo Topkapi, dove tiene il suo harem, custodito da eunuchi bianchi e neri.
Proprio nel 1526, l’impero ottomano sconfigge re Luigi nella battaglia di Mohacs e cancella l’autonomia ungherese, fino al 1918.
73 anni prima era estate, adesso è inverno, c’era la pace, ora c’è la guerra.
“Allora desideravo la guerra e Allah me la concedeva; ora vorrei la pace e Allah non me la concede. Armate sfilano sulle strade fangose, nascono congegni esplosivi diabolici mai visti e Satana ha sguinzagliato contro di noi ogni soldato pagano, valloni, tedeschi, francesi, cosacchi”.
Racconta l’epopea dei suoi avi, appresa dalla nutrice Halima. Narra le vicende delle grandi guerre, della sua nascita, della sua infanzia, ascoltate tante volte da Seyfi. Parla di cose
“meravigliose e terribili, benché l’afflato del Paradiso le renda care, perché ero giovane e giovane era l’inizio. Sebbene io sappia di essere stato crudele e furioso, restano dolci i tempi passati, poiché ho deposto ogni mia malvagità”.
L’Ungheria, ricorda Di Francesco, è stata per secoli un Paese multietnico, plurilingue, multireligioso, pluriconfessionale. Questa fisionomia particolare, acquisita con gli angioini e confermata sotto Mattia Corvino detto il Giusto, è stata consolidata dai turchi, che dal 1526 al 1686 controllarono un territorio vastissimo nell’Europa centro-orientale, terra di scontri, ma allo stesso tempo laboratorio di esperimenti politici.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lo specchio turco
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