Marie-Claire
- Autore: Marguerite Audoux
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Elliot
- Anno di pubblicazione: 2015
“Un giorno, molta gente arrivò da noi. Gli uomini entravano come fossero in una chiesa, e le donne uscendo si facevano il segno della croce”.
Le traversie della piccola Marie-Claire avevano avuto inizio il giorno nel quale era morta sua madre. Scomparso il padre “nessuno sapeva per dove” Marie-Claire era stata condotta insieme alla sorella maggiore “in una grande casa in cui c’erano molte bambine”. Immediatamente le sorelline erano state separate da Suor Gabrielle, bassa, vecchia e magra che dirigeva il dormitorio e il refettorio: “mia sorella era abbastanza grande per andare con le medie, mentre io sarei rimasta con le piccole”.
Nell’orfanotrofio la prima amica di Marie-Claire era stata Ismérie, dalla voce simile a quella di un ragazzo e dalle gambe storte. Un male agli occhi del quale già soffriva Marie-Claire qui si era aggravato. Durante la notte le palpebre s’incollavano l’una all’altra, rendendo la bambina cieca fino a che qualcuno non gliele bagnava. Ogni mattina Augustine portava Marie-Claire in infermeria tenendola per mano, le ragazzine, una delle quali momentaneamente non vedente, correvano come il vento soprattutto quando dovevano passare davanti al cimitero.
“Avevo paura della paura di Augustine”.
Era stata quest’ultima a condurre l’orfana nella classe di Suor Marie Aimée, giudicata cattivissima dalle alunne, perché puniva severamente le ragazze più loquaci. Invece la maestra come aveva visto Marie-Claire aveva provato un moto d’istintiva simpatia per la nuova alunna. Dopo averle sorriso e averla baciata diverse volte, la suora aveva detto a Marie-Claire: “sei troppo piccola per andare a sederti in un banco. Ti farò mettere qui” e aveva fatto sedere l’alunna su un banchetto nella cavità della cattedra. Era stato con l’aiuto di Suor Marie Aimée che l’orfana aveva appreso il piacere della lettura, della scrittura e dello studio “per me fu una grande gioia”, mentre invece “cucire continuava a disgustarmi”.
Gli anni trascorsero velocemente, fu stabilito da Suor Marie Aimée e dal curato che la tredicenne Marie-Claire sarebbe andata a lavorare nel negozio di confezioni della signorina Maximilienne. Una mattina la superiora aveva chiamato l’adolescente e le aveva detto:
“Vi manderemo in una fattoria della Sologne. Sarete una pastorella, signorina!”.
La breve illusione di una vita migliore era tramontata, ciò che attendeva Marie-Claire era un grande silenzio e la visione di niente altro che pini e campi di grano. Tutto questo prima di fare il grande salto per Parigi.
“Mi pareva di essere stata condotta in un paese fantasma”.
Marie Claire di Marguerite Audoux (1863-1937), un classico della letteratura francese, rappresenta la biografia dell’autrice che le valse il Premio Fémina. Il libro era stato pubblicato nel 1910 dal prestigioso editore Fasquelle, grazie all’interessamento di Octave Mirbeau il quale aveva letto il manoscritto inedito redatto da una “piccola sartina” sempre malata, dotata di mezzi esigui.
Marguerite Adoux non era più in grado di lavorare, perché sofferente di una grave malattia agli occhi ma nonostante ciò continuava a scrivere. Nella Prefazione del testo, edito in Italia per la prima volta nel 1943 da Guanda e ora pubblicato dalla casa editrice romana nella Collana Raggi tradotto da Luisa Moscardini, Mirbeau scrive che i buoni libri possiedono un incrollabile potere. Per quanto possono arrivare da lontano, essere nascosti dietro le sconosciute miserie di una casa di operai, “riescono sempre a rivelarsi”. È il caso di Marie-Claire, un’opera di gusto e finezza toccanti, nella quale tutto appare a suo posto: “gli oggetti, i paesaggi, i personaggi”.
L’autrice ripercorre il proprio passato, l’infanzia in orfanotrofio, l’adolescenza nella fattoria Villevieille, il suo latente ma sempre vivo desiderio di scrivere. I punti di forza di questa donna coraggiosa furono la curiosità, l’immaginazione, la spiccata sensibilità e un talento innato che seppe riversare su pezzi di carta spesso bruciati, perché ritenuti a torto che non potessero essere interessanti per alcuno.
“Amavo quel libro, per me era come un giovane carcerato a cui andavo a far visita nel ripostiglio”.
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