Meg. Minaccia dagli abissi
- Autore: Steve Alten
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2018
Lo squalo di Peter Benchley mi è stato regalato a dodici anni e per il resto dell’adolescenza ha segnato i miei interessi narrativi. Dopo avere finito non senza fatica la lettura di Meg. Minaccia dagli abissi (Steve Alten, Mondadori, 2018, traduzione: M. Jatosti) rifletto sul perché quel romanzo - secondo me - funzioni ancora e questo invece molto meno. Fermo restando che entrambi affrontano il tema degli shark attack, credo che la differenza sia data da tre elementi, correlati gli uni agli altri:
- 1) la plausibilità del mostro
- 2) la plausibilità dell’intreccio
- 3) la plausibilità della minaccia
Dei meccanismi meta-significativi contenuti nel romanzo di Benchley (e del tutto assenti nel romanzo di Alten) ho sommariamente accennato su Sololibri.net in Lo squalo, 40 anni dopo. Il film e il romanzo sullo squalo bianco più terrificante di sempre e non mi ripeterò. Ciò che nella circostanza mi preme evidenziare è che Meg fallisce proprio a partire dalla mission narrativa che era dello Squalo e che avrebbe dovuto essere la sua: inchiodare il lettore alla poltrona e trasmettergli una fifa blu, al punto da rovinargli le nuotate in mare aperto per il resto della vita.
Proprio l’obiettivo di estendere all’ennesima potenza tanto le proporzioni quanto la voracità dello squalo costituisce la buccia di banana su cui scivola Steve Alten e va a farsi benedire la sospensione di incredulità. Inoltre, se la minaccia portata dallo squalo di Benchley era estendibile al bagnante comune (“C’è uno squalo nel canale! C’è uno squalo nel canale!”, ricordate il grido di allarme del ragazzino, ripreso anche dal film di Spielberg?), qui la vicenda è prerogativa di un ristretto novero di personaggi, peraltro impegnati, fra una caccia e l’altra, in una pantomima di doppi e tripli giochi da spy-story che con l’avventura di mare c’entrano come gli sci sotto l’ombrellone. In altre parole: se Lo squalo di Benchley costringeva a leggere trattenendo il fiato, Meg. Minaccia dagli abissi di Steve Alten autorizza al contrario a diverse pause (una pausa-sigaretta, una pausa-caffè, una boccata d’aria... ogni scusa è buona) tanto il clou della vicenda è iperbolico e non lo tocca potenzialmente da vicino. Esclusiva pertinenza del Carcharodon megalodon, degli eroi tutti-d’un-pezzo, dei bulli e delle pupe che gli danno (e si danno) la caccia, sullo sfondo di una Fossa delle Marianne trasformata in una specie di Jurassic Park sottomarino. Affascinante quanto vuoi, ma terrorizzante poco o niente.
Secondo capitolo di una saga che in America conta ben otto episodi (altre latitudini), Meg. Minaccia dagli abissi trova, non a caso, uno dei suoi pochi punti di forza nella descrizione degli attacchi (soltanto un paio, in verità) che coinvolgono vittime estranee alla vicenda. Il resto sa molto di mestiere: potrebbe anche piacere – a chi digerisce, per esempio, i romanzi di Clive Cussler e Wilbur Smith - ma un romanzo su uno squalo omicida dovrebbe in primo luogo spaventare e secondo me Meg non ci riesce.
MEG. Minaccia dagli abissi
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