Poeta, drammaturgo, sceneggiatore, ma soprattutto artista libertario, Jacques Prévert è uno degli autori francesi più celebrati: studiato nelle scuole, declamato nelle piazze, i suoi versi sono persino diventati delle canzoni popolari registrate dai maggiori cantanti francesi e i film di cui scrisse la sceneggiatura figurano tra i capolavori del cinema mondiale.
Ma l’essenza di Prévert è indefinibile, proprio perché per tutta la vita fu uno spirito ribelle, mai domato, insofferente rispetto a ogni forma di costrizione, regola o definizione. Raccontava che a scuola non aspettava altro che il suono della campanella e, forse, per tutta la sua esistenza, Jacques Prévert è sempre rimasto quello scolaro discolo, seduto di sghimbescio sulla sedia in impaziente attesa della fine della lezione. La vita lo chiamava fuori, con urgenza, come la più importante delle lezioni.
Avrebbe scritto testi pacifisti, come la celeberrima poesia contro la guerra Barbara, uniti ad altri testi di denuncia sociale, come Lo sforzo umano, in cui metteva in luce la costruzione iniqua della società e le profonde disuguaglianze di classe. La sua prima opera Tentative de description d’un dîner de têtes à Paris-France (1931) era un’amara parodia della cosiddetta buona società parigina.
No, Prévert non è stato semplicemente il “poeta d’amore” de I ragazzi che si amano o Parigi di notte, è stato molto di più: attraverso i suoi testi poetici - divenuti ormai dei classici della letteratura francese, parte stessa del linguaggio, dello stesso folclore popolare - ha accompagnato l’onda anomala della rivoluzione, facendosi portavoce delle istanze sociali e politiche, schierandosi sempre dalla parte degli ultimi. Lui non si definiva “poeta” - ha rifiutato categoricamente questa definizione altisonante - preferendo professarsi un semplice “artigiano delle parole”. Avrebbe sempre coltivato la sublime “arte di sbrigarsela”, come la chiamava lui, nato da una famiglia povera ed eternamente memore delle sue umili origini: sua madre cuciva sacchi di patate, suo padre non ebbe mai un lavoro stabile, e anche Jacques avrebbe preso il testimone paterno imparando come prima cosa nella vita la capacità di “arrangiarsi”.
Questa premessa era necessaria per comprendere appieno il testo di Mio malgrado, forse la sua poesia più autobiografica che contiene, tra le righe, anche una profonda dichiarazione di poetica.
Mio malgrado di Jacques Prévert è tratta da Choses et autres (Gallimard, 1972), l’ultima raccolta pubblicata pubblicata in vita da Prévert.
Vediamone testo, traduzione e analisi.
“Malgré moi” di Jacques Prévert: testo originale francese
Embauché malgré moi dans l’usine à idées
j’ai refusé de pointerMobilisé de même dans l’armée des idées
j’ai déserté
Je n’ai jamais compris grand chose
Il n’y a jamais grand chose
ni petite chose
il y a autre choseAutre chose
c’est ce que j’aime qui me plaît
et que je fais.
“Mio malgrado” di Jacques Prévert: testo italiano
Assunto mio malgrado nella fabbrica delle idee
mi sono rifiutato di timbrare il cartellinoMobilitato altresì nell’esercito delle idee
ho disertato
Non ho mai capito granché
Non c’è mai una grande cosa da capire
né una piccola cosa
C’è anche un’altra cosa.Altro
vuol dire che amo chi mi piace
e ciò che faccio.
“Mio malgrado” di Jacques Prévert: analisi e commento
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Mio malgrado è una poesia autobiografica, ma anche un deciso atto di ribellione. In questi versi audaci Prévert rivendica con fermezza la propria libertà e indipendenza intellettuale, sino a pervenire a una conclusione irriverente che ci restituisce l’esatta misura della sua statura spirituale. Sin dal principio di Mio malgrado Jacques Prévert si professa libero e anche un po’ anarchico: l’assunzione nella fittizia fabbrica delle idee appare come un dispetto e l’autore, da subito, si rifiuta di timbrare il cartellino, per rivendicare il fatto di non aver alcun padrone.
Il secondo atto di ribellione è ancora più forte: la diserzione, nel quale possiamo cogliere un più nitido riferimento autobiografico, infatti Prévert rifiutò di prestare il servizio militare in gioventù e, in tutta risposta, fu arrestato e spedito al fronte. Ora, in chiave metaforica, Jacques Prévert parla di “fabbrica delle idee” ed “esercito delle idee” per indicare la militanza intellettuale, cui noi potremmo dire che lui ha a tutti gli effetti aderito, invece lui lo fa rivendicando il proprio diritto - sacrosanto - di licenziarsi e disertare, quindi di abbandonare la via conforme alla regola per sceglierne una sua. Jacques Prévert si è sempre definito un “artigiano di parole” e “non un poeta”: anche in questa definizione possiamo cogliere una forma di diserzione, in fondo, un tentativo di abdicare al ruolo nel quale la società vuole costringerlo, alla funzione in cui vuole incasellarlo.
Infine, ecco, che arriva fulminea e narrata in chiave squisitamente simbolista la sua dichiarazione di poetica: dopo l’umile - solo in apparenza - confessione “Non ho mai capito granché”, ecco che Jacques Prévert dichiara che ciò che è importante da capire non sono le “grandi cose” e neppure le “piccole cose”, ma “altro”. Ecco, in quella parola “altro” è racchiusa l’essenza della sua poetica.
Ciò che muove la voce di Prévert, la poesia di Prevért è contenuto nel distico finale: “amo chi mi piace/ e ciò che faccio”, l’ultimo sberleffo irriverente dell’autore è in realtà una meravigliosa attestazione della propria unicità e rarità. Jacques Prévert scioglie un nodo e, in barba alle spiegazioni intellettuali altisonanti, ecco che impone semplicemente sé stesso e per l’ennesima volta sembra rivendicare la propria libertà come la più solenne autoaffermazione: “Sono io”.
Nelle parole dell’insubordinato Prévert, del disertore Prévert troviamo anche un autoritratto tutto sommato compiaciuto, come se carico d’anni e senza alcun rimorso l’anziano paroliere della cultura francese avesse deciso di mettere le carte in tavola, come a dire eccomi qui, sono quello che non ha mai timbrato il cartellino, che ha disertato, che è stato altrove, che è stato “altro”. Il titolo dell’ultima raccolta poetica di Jacques Prévert è, non a caso, Choses et autres ovvero Le cose e gli altri, ed è l’opera in cui maggiormente il poeta si abbandona a sperimentalismi e virtuosismi stilistici, componendo il suo più ardito grido di libertà.
Il testo di Malgré moi sarebbe stato trasposto in musica dal noto cantante e attore francese Yves Montand, diventando una canzone popolare in Francia.
“Mio malgrado” di Jacques Prévert: la canzone di Yves Montand
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Mio malgrado”: la poesia ribelle di Jacques Prévert
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