Il 15 maggio 1886 moriva Emily Dickinson, nella cittadina di Amherst dove aveva sempre vissuto. I died for Beauty, scriveva in una delle sue poesie più celebri: letteralmente Morii per la bellezza.
Aveva soli cinquantacinque anni, ma da tempo soffriva di cattiva salute e forti emicranie, strani vuoti di memoria, dolori che l’avevano costretta a letto per oltre sette mesi. Ufficialmente il certificato di morte di Dickinson riporta la dicitura: “malattia di Bright”, a ucciderla sarebbe stato dunque un disturbo renale, tuttavia studi più recenti fanno pensare che la poetessa vestita di bianco - che da anni viveva reclusa tra le mura della sua casa - soffrisse di una grave forma di ipertensione dalla quale derivava un’insufficienza cardiaca.
La morte era una presenza costante nelle poesie e nelle lettere della Dickinson; ciò non deve stupirci, né sembrare sinonimo di un’attenzione morbosa, in quanto nell’epoca in cui Emily viveva la religione stessa era concentrata essenzialmente sulla narrazione della morte e dell’aldilà. Le persone avevano una vita breve, spesso piena di affanni e riponevano ogni loro speranza nella vita eterna e in un ipotetico paradiso.
Emily Dickinson fu sepolta nel West Cemetery, situato nel centro di Amherst. Soltanto dopo la sua morte nacque al mondo come “poetessa”, quando furono ritrovate in un baule le sue liriche. Lei aveva chiesto alla sorella Lavinia di bruciarle; per fortuna non lo fece. Erano oltre 1800 testi che furono pubblicati in una raccolta quattro anni dopo la sua morte. Che scrivesse poesie era tuttavia risaputo dai suoi familiari: in occasione del suo funerale fu letta una poesia di Emily Brontë dal titolo: “No coward soul is mine”, nessuna anima codarda è la mia.
La sua tomba in origine era una semplice lastra di granito con incise le iniziali E.E.D., ma qualche decennio dopo fu la nipote, Martha Dickinson Bianchi, a sostituirla con una lastra di marmo, recante la scritta: “Called Back”, era il titolo di un popolare romanzo di genere mystery-romance di Hugo Conway, citato da Emily nella sua ultima lettera alle cugine.
La ricordiamo attraverso una delle sue poesie più celebri, I died for Beauty, tradotta in italiano come Morii per la bellezza, che tratta appunto il tema della morte anche da un punto di vista filosofico ispirandosi alla celebre Ode a un’urna greca di John Keats.
Scopriamone testo, traduzione e analisi.
“I died for Beauty” di Emily Dickinson: testo originale
I died for beauty, but was scarce
Adjusted in the tomb,
When one who died for truth was lain
In an adjoining room.He questioned softly why I failed?
“For beauty,” I replied.”
And I for truth – the two are one;
We brethren are,” he said.And so, as kinsmen met a-night,
We talked between the rooms,
Until the moss had reached our lips,
And covered up our names.
“Morii per la bellezza” di Emily Dickinson: testo
Morii per la bellezza, ma ero appena
composta nella tomba
che un altro, morto per la verità,
fu disteso nello spazio accanto.Mi chiese sottovoce perché ero morta
gli risposi “Per la Bellezza”.
“E io per la Verità, le due cose sono
una sola. Siamo fratelli” disse.Così come parenti che si ritrovano
di notte parlammo da una stanza all’altra
finché il muschio raggiunse le labbra
e coprì i nostri nomi.(Traduzione di Piera Mattei)
“Morii per la bellezza” di Emily Dickinson: analisi e commento
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La poesia I died for Beauty fu scritta da Dickinson probabilmente attorno al 1862. Il testo, a tratti ermetico, narra l’incontro tra due interlocutori in una tomba: la prima persona dice di essere morta per la Bellezza, la seconda per la Verità. Attraverso il dialogo tra i due, Dickinson crea un ritmo incalzante accentuato dai trattini posti nel finale della strofa che suggeriscono un senso d’attesa. La coesione complessiva del discorso è cementata dall’uso delle rime che ne sottolineano il messaggio centrale, lo stesso che ritroviamo nella celebre poesia di Keats: “Beauty is truth, truth beauty”, “bellezza è verità, verità è bellezza”. Dickinson presentandoci i suoi due interlocutori come ideali “fratelli d’anima” ci suggerisce che verità e bellezza sono intrecciate e, in fondo, simili.
In Ode a un’urna greca Keats identificava nel binomio bellezza e verità l’unica forma di conoscenza; questo è tutto ciò che sapete sulla terra, questo tutto ciò che occorre sapere, aggiungeva. La poesia di Dickinson sembra fare eco ai versi del poeta romantico inglese; forse era John Keats l’interlocutore immaginario della poetessa vestita di bianco, colui il cui nome è scritto sull’acqua. Le iscrizioni tombali di Keats e Dickinson, in effetti, curiosamente sembrano dialogare: “Called back” è inciso sulla tomba di Emily (letteralmente “richiamata”), mentre la piccola lapide di Keats, conservata presso il Cimitero acattolico di Roma, recita:“ Here lies one whose name was writ in water”, qui giace uno il cui nome è scritto nell’acqua. Entrambi gli epitaffi sembrano alludere a un continuo fluire dell’esistenza e farsi così, di conseguenza, monumento all’immortalità.
La poesia di Emily Dickinson, Morii per la bellezza, si conclude con un riferimento al muschio che ricopre la tomba e sembra silenziare per sempre le due anime che vi sono sepolte. Il muschio sembra simboleggiare al contempo il passaggio inesorabile del tempo e la caducità della vita. La pianta infestante copre prima loro le labbra - silenziandoli - poi i nomi di entrambi, come a suggerire un perpetuo oblio. Significativo anche che Dickinson nella lirica originale non utilizzi il verbo morire, “die”, ma “failed”, “fallire”, come sinonimo di scomparire, morire:
Why I failed?
Rimane da chiedersi se quel “failed” racchiudesse in sé un messaggio: vivere per un ideale equivale a fallire, oppure a esistere per sempre? Dickinson non ci dà una vera risposta, solo una conclusione inesorabile, opponendo alla parola il suono sordo del silenzio. La realtà della morte diventa concreta, tangibile, attraverso la metafora del muschio che ricopre ogni cosa.
A distanza di oltre un secolo dalla morte di Emily Dickinson, noi ora possiamo dire che davvero la poetessa vestita di bianco vive per sempre. Morire per la bellezza non è stato affatto un fallimento.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Morii per la bellezza”: la poesia testamento di Emily Dickinson
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