Nel mare di Elsa
- Autore: Gea Finelli
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Nutrimenti
- Anno di pubblicazione: 2023
Nutrimenti, nella Collana “L’isola di Arturo”, pubblica Nel mare di Elsa (2023, illustrazioni di Massimo Velo) della giornalista e scrittrice Gea Finelli, nata a Napoli nel 1983, che indaga il rapporto tra Elsa Morante (Roma, 18 agosto 1912 – 25 novembre 1985) scrittrice, saggista, poetessa e traduttrice e l’isola di Procida, location del capolavoro “L’isola di Arturo” con il quale fu la prima donna a vincere nel 1957 il Premio Strega.
“Ci fu tra loro una magica e difficilmente replicabile fusione alchemica”.
Ciascuno di noi ha un luogo preferito dove rifugiarsi e dal quale trarre linfa vitale per ricominciare dopo un periodo travagliato. Un posto in cui sentirsi perfettamente sé stessi, felici in maniera inspiegabile, protetti come quando eravamo nel grembo materno, liberi nell’anima e nella mente.
Per Elsa Morante, certamente la più grande scrittrice italiana del dopoguerra, questo luogo era un’isola campana, anzi una piccola e splendente isola campana, una delle due situate nel golfo di Napoli, appartenenti al gruppo delle isole Flegree.
Per tutti i lettori e le lettrici che hanno (stra)letto i romanzi della Morante, nominare l’isola di Procida significa tornare con il pensiero al romanzo “L’isola di Arturo”, libro non solo magico perché cala chi legge in un’atmosfera incantata e mitica, ma soprattutto perché il romanzo capolavoro della scrittrice romana cambia la concezione della vita.
Non stupisce apprendere che il romanzo ebbe subito un grande successo di critica e di pubblico ed è il più conosciuto e letto della Morante e tra i libri più tradotti al mondo. Elsa Morante, animo sensibile, nascosto da una resistente patina di intransigenza e scontrosità, nel 1948 aveva vinto il Premio Viareggio con “Menzogna e sortilegio”.
Arrivata alla fine degli anni Quaranta per la prima volta a Procida (dove soggiornerà per lunghi periodi fino alla metà degli anni Settanta), Elsa fu presa da incantamento dalle atmosfere senza tempo isolane, dai sapori, dagli odori, dagli scorci di paesaggio che regala l’isola, chi conosce bene Procida sa che possiede un aspetto arcaico, epico, magico, per il gioco di luci e ombre, di nuvole e di venti che è capace di evocare.
“Se Capri è isola che vi fa impazzire, Procida è l’isola a cui si vuole bene”
scrive nel 1948 Giuseppe Marotta in un lungo reportage sull’isola campana per la rivista del Touring Club “Le vie del mondo”.
Eppure in nessuna biografia, in nessun saggio, in nessun volume di letteratura si riportano date precise, né testimonianze o racconti dei frequenti soggiorni sull’isola della Morante in questo microcosmo del Mediterraneo. Finora tutto quello che conoscevamo del rapporto tra la Morante e Procida si trovava nelle pagine de “L’isola di Arturo”.
Il bellissimo libro di Gea Finelli, scritto con cura, passione ed empatia, colma questa lacuna, disvelando a chi legge una nuova immagine di Elsa Morante. Sempre in guerra con il mondo, sempre in difesa, dalla quale, per i vicoli e le stradine di Procida, con una superficie di 3,7 km², attraverso le testimonianze di chi la conobbe e la incontrò, emerge un lato privato straordinariamente umano, capace di leggere dentro le persone, e dal forte senso dell’amicizia.
A Procida, in vacanza, contemplando la natura, raccontando le favole ai piccoli isolani, accarezzando i tanti gatti randagi, Elsa concepì l’idea del romanzo, iniziato nel 1950, interrotto per due anni, ripreso nel 1952 con la sua stesura iniziale e terminato dopo quasi cinque anni di intensa scrittura nello studio di via Archimede, ai Parioli, a Roma, nell’abitazione acquistata anni prima per lei dall’allora marito Alberto Moravia.
Ma la nascita del capolavoro “L’isola di Arturo” è intimamente legata a un momento di passaggio e di profonda crisi esistenziale nella vita della scrittrice. La Procida della fine degli anni Quaranta è aspra, povera, verace, perfetta per lenire le pene d’amore della Morante, innamorata di un amore totalizzante, ma non riamata da Luchino Visconti (non è un caso che è al regista che Morante si ispira per il personaggio di Wilhelm Gerace, il padre di Arturo) e che vede naufragare il matrimonio con Moravia non solo per le infedeltà dello scrittore, ma anche per i continui litigi tra i coniugi. Procida diventa subito la bussola, la stella polare, che coincide con la stagione della fanciullezza, un luogo rimasto lontano dai campi di battaglia, con le case dai cento colori pallidi e leggiadri, che Elsa sceglie per sé, per tornare a cercare riparo dalle ferite di una vita inquieta e travagliata.
L’idea del personaggio Arturo è ancora in germe, ma Elsa sa già che “Arturo sono io”, perché il ragazzino, come lei, è digiuno di baci e di carezze e come lui Morante si sente sola. Nessuno in fondo l’ha mai amata. Il vulnus è da ricercarsi nell’infanzia dolorosa di Elsa, figlia di due padri, uno legittimo e l’altro naturale. Ecco dunque che, per sfuggire quel senso di incompletezza e solitudine, Elsa Morante ha solo una strada da percorrere: quella via che conosce bene,
“che le consente di trasfigurare la realtà a proprio piacimento, illudendola che ne esiste una parallela e brutale che sta vivendo: la letteratura”.
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