

Nessuno sa il mio nome
- Autore: James Baldwin
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Fandango Libri
- Anno di pubblicazione: 2024
James Baldwin ebbe una vita complicata. Primogenito di nove figli, una miseria terribile, non accettò gli ordini del patrigno, soprattutto sull’educazione religiosa. Nacque a New York, nel quartiere di Harlem, dove vivevano solo persone di colore povere dove i più giovani si davano alla delinquenza, quelle persone che, dopo quasi un secolo, non avrebbero potuto immaginare che il quartiere poteva diventare un posto alla moda, totalmente restaurato per newyorkesi ricchi, mentre alle persone più anziane vennero date delle case popolari piuttosto distanti da Harlem.
In questo libro dal titolo Nessuno sa il mio nome (Fandango libri, 2024, traduzione rivista e corretta da Giancarlo Cella e Vittorio Di Giuro), la causa è ed era quella della gentifricazione in atto, che sta cambiando le grandi città statunitensi ma anche zone metropolitane dell’Europa e dell’Oriente.
Baldwin, poi, faceva fatica a capire perché, ad esempio a Boston, la tolleranza tra bianchi e neri era già una realtà, mentre in Alabama i neri erano ancora i figli degli schiavi portati dall’Africa. La segregazione negli anni Sessanta del secolo scorso era ancora una realtà accettata.
Baldwin scappò in Europa, dove non sentiva lo sguardo sprezzante americano. Vive due anni a Parigi, ma non trova in quelle teste pensanti, da Albert Camus a Sartre e Simone de Beauvoir, che individui che parlavano anche di razzismo e colonialismo, ma erano troppo centrati sul modello sovietico, avevano una loro idea di uguaglianza e non la condivisero con un nero omosessuale e povero. Perché Baldwin era uno del popolo, che soffrì molto quando capì che provava pulsioni erotiche verso altri maschi, che frequentava anche ragazze e donne, ma sembrava più una "copertura". E solo quando viveva a Parigi, o in altre città europee, la libertà sessuale era accettata, ma solo in parte.
In un congresso del 1956, alla Sorbona di Parigi, sulla cultura africana, gli intellettuali neri non avevano problemi a dire che la loro eredità letteraria proveniva dal paese di origine, mentre negli Stati Uniti o ci si assimilava alla eredità dei bianchi o si era "cani sciolti". Peccato per questa spaccatura, dal momento che di libri pubblicati in Africa ne conosciamo pochi.
Molto belli sono i capitoli dedicati a altri scrittori, partendo da William Faulkner, che parlava di pragmatismo e di attesa ancora per l’assimilazione, giacché i suoi nonni avevano avuto, pochi decenni prima, degli schiavi in casa. Baldwin conobbe André Gide, scrittore famoso non tanto per i diritti della gente di colore ma perché trovò La Recherche di Marcel Proust impubblicabile per poi pentirsene amaramente.
Nel frattempo questo enorme minestrone tra cultura africana, cultura dei neri d’America e la cultura bianca, mette in risalto quanto ancora c’era e c’è da fare per legittimare la proprie identità di pensiero e le azioni di reale integrazione. Fare entrare sei alunni di colore in una scuola dove erano tutti bianchi, in passato, sembrava un’azione buona per assimilare piano piano una parte di alunni. Ma in questo nostro millennio dovrebbe finire proprio il concetto di tolleranza, parola ambigua rispetto a assimilazione, che se sei simile a me nemmeno ci penso con chi sono amico o collega, e il colore di famiglia diventa accessorio, non rilevante. James Baldwin scrisse che, ancora una volta, lo scrittore Henry James, sintetizzando molto, aveva avuto ragione quando diceva:
È un destino complesso, essere americano.

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